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 2023  febbraio 05 Domenica calendario

Mimma Gaspari e Sanremo

Dietro il successo di ogni artista c’è spesso il lavoro meticoloso di chi agisce nell’ombra con competenza, passione, dedizione. Come Mimma Gaspari, donna straordinaria e vera e propria memoria storica della canzone italiana. Nel 1959, appena ventunenne, lavora come paroliera al fianco di Teddy Reno, per poi cimentarsi per 50 anni con i percorsi promozionali di diversi artisti, prima nell’impero di Ladislao Sugar, le Messaggerie Musicali, poi nella gloriosa Rca di Ennio Melis (prima donna a sbarcare in quegli uffici con un ruolo così decisivo). Si occupa di Patty Pravo, Cinquetti, Dalla, Nada, Jannacci, Morandi, Tenco, Modugno e mille altri. In anni assai complicati lotta e sgomita per imporre Renato Zero in tv e convincere Paolo Conte a cantare le proprie canzoni. Promoter d’acciaio, motivatrice e molto altro, ha partecipato con gli artisti delle sue scuderie a ben 18 Festival. E in alcuni ha trionfato. Le 600 pagine della sua autobiografia (La musica è cambiata?! per Baldini+Castoldi) fanno fatica a contenere la sua vita.
Cosa pensa dei Sanremo targati Amadeus?
«Riconosco ad Amadeus la voglia di cambiare e di portare a Sanremo il rap e la trap, per coinvolgere i telespettatori più giovani. E Brividi l’anno scorso mi era piaciuta molto. Ma io sono della vecchia guardia e sono d’accordo con Mogol quando dice che a Sanremo mancano i brani che danno emozione. E che alcuni brani non sono cantabili».
Cosa cambierebbe di Sanremo?

«Secondo me dovrebbe avere due sessioni distinte: rap e trap da una parte e le altre canzoni dall’altra».
Fanno bene alcuni big della canzone a ostinarsi a non salire su quel palco?

«Tenco partecipò pur odiandolo. Non era nelle sue corde. Ma in quegli anni le occasioni per promuovere gli artisti erano pochissime. Ero lì per la Rca, al Festival del 1967, e ricordo che dopo la sua esibizione si addormentò su una panchina dietro l’Ariston. Lo svegliai per portarlo a cena, ma lui salì in auto e fuggì via a tutto gas. Quando mi chiamarono per dirmi che era morto, pensai avesse avuto un incidente».
Lei vinse Sanremo con Gigliola Cinquetti con Non ho l’età (Per amarti) nel 1964.

«Ero seduta accanto a lei quando annunciarono la sua vittoria. Lei, con occhi smarriti, mi guardò e mi disse: E adesso che succede?».
Il suo Sanremo più bello?

«Quello del 1971, il Festival della storica tripletta Rca: Il cuore è uno zingaro (Nada/Nicola Di Bari), Che sarà (Ricchi e Poveri/ José Feliciano) e 4/3/43 (Lucio Dalla /Nuova Equipe 84). A Claudio Mattone, autore con Migliacci del brano vincente, quando venne nel mio ufficio qualche mese prima per farmela ascoltare, dissi subito: questa canzone vince il Festival. Lui mi rispose che ero pazza».
Una fotografia sanremese?

«Domenico Modugno che trema prima di salire sul palco. E non fu l’unico che vidi. Quello è un palco che faceva venire i brividi».
Una litigata storica?

«Jimmy Fontana con Ennio Melis della Rca. Fontana aveva scritto Che sarà e voleva cantarla con José Feliciano. Ma Melis voleva sul palco un gruppo di giovani, i Ricchi e Poveri. E gli disse: Se sali sul palco per cantarla fai qualche serata in più, ma con loro questo pezzo fa il giro del mondo e tu diventi ricco. Fu il più grande dolore della vita di Fontana, ma Melis aveva ragione: il brano in poco tempo vendette 600.000 copie».
Brividi provati da telespettatrice invece?

«Tanti, sicuramente per Spalle al Muro di Renato Zero, gli applausi interminabili dell’Ariston mi resero davvero felice, con Renato ho lavorato per 10 anni. E poi per Almeno tu nell’universo di Mia Martini. Di Mimì faccio fatica a parlare ancora oggi».
Chi vince quest’anno?
«Risposta difficilissima, non avendo sentito tutti i brani. A istinto posso azzardare Giorgia, Mengoni o Ultimo».
Il futuro di Sanremo come se lo immagina?
«Continuerà ad esistere. Per almeno 20 anni di sicuro. Ma ricordiamoci sempre che dovrebbe essere il Festival delle canzoni, prima ancora che dei cantanti. E 5 ore per 5 sere sono un’esagerazione. Poi suggerirei di trattare le canzoni con la massima cura. Intendo luci e inquadrature. Tema sul quale ci confrontavamo con toni accesi anche col maestro Antonello Falqui sul set di Canzonissima».
Le 20 canzoni più belle della storia del Festival?

«Complicatissimo. Ne lascio fuori di sicuro parecchie. Direi Volare, Spalle al Muro, Non ho l’età, 24.000 baci, Un’avventura, Almeno tu nell’universo, Il cuore è uno zingaro, Dimmi che non vuoi morire, Quello che le donne non dicono, Come saprei, Quando quando quando, Il ragazzo della via Gluck, 1950, Una lacrima sul viso, 4/3/1943, Che sarà, Ma che freddo fa, Nessuno mi può giudicare, Se stiamo insieme, Si può dare di più. E ne aggiungerei altre quattro: Gianna, Rino Gaetano nel 1978, Vorrei incontrarti tra cent’anni, Ron e Tosca nel 1996, Una spada nel cuore, Patty Pravo e Little Tony nel 1970 e Celentano con la sua Canzone, al Festival del 1968».Emilio Targia