Corriere della Sera, 5 febbraio 2023
I duecento chili d’oro che i nazisti pretesero dagli ebrei romani
«Tra i testimoni oculari durante la raccolta c’è Olga Di Veroli, che partecipò attivamente da volontaria: “Ricordo l’episodio di una signora anziana che si tolse gli orecchini ma non avevano nessun valore. Chiesi al gioielliere Angelo: quanto debbo dare a questa signora? Allora questa signora mi abbracciò, si mise a piangere e mi disse: niente, perché tutto quello che ho è questo, io vendo i bruscolini davanti al cinema Reale. Mi ricordo che era una donnetta di campagna, si può dire, e da allora mi ha sempre tanto tanto commosso e ogni volta che ci penso mi viene da piangere”».
Siamo nelle agghiaccianti ore in cui gli ebrei romani sono costretti a radunare i 50 chili d’oro tra il 26 e il 28 settembre 1943, pochi giorni prima del rastrellamento e della deportazione nella zona dell’Antico Ghetto del 16 ottobre.
La vicenda è notissima: Herbert Kappler, la mattina del 26 settembre, convoca nei suoi uffici di Villa Wolkonsky i presidenti della Comunità israelitica di Roma e dell’Unione delle Comunità israelitiche italiane, Ugo Foà e Dante Almansi: gli ebrei romani devono consegnare 50 chili d’oro entro 36 ore altrimenti 200 di loro saranno deportati in Germania.
Scatta un’incredibile macchina organizzativa e solidale. Non solo tra gli ebrei: molti cattolici non voltano la testa dall’altra parte, non mostrano indifferenza. Anzi, con generosità spesso anonima cercano di aiutare i loro concittadini di religione ebraica. Uno sforzo inutile, un’atroce messa in scena. Pochi giorni dopo arriverà il rastrellamento dell’Antico Ghetto e nei mesi successivi la caccia nazista agli ebrei in tutta Roma.
Il documentato saggio Il ricatto dell’oro. Cronaca di un’estorsione. Roma 26-28 settembre 1943 delle ricercatrici Yael Calò e Lia Toaff (appena uscito da Palombi Editori, in italiano e in inglese nello stesso volume) ricostruisce nel dettaglio verbali, ricevute (il blocchetto delle 2.082 matrici è esposto al Museo ebraico di Roma), identità e anonimati, fotografie, testimonianze radunate da diverse fonti scritte e audiovisive grazie anche alla collaborazione di Claudio Procaccia, direttore del Dipartimento Beni e attività culturali della Comunità ebraica di Roma, e di Alessandra Di Castro, presidente per la Fondazione per il Museo ebraico di Roma.
Il libro racconta la mobilitazione di una intera comunità che si separa dai ricordi familiari, persino dalle fedi nuziali. Ma c’è anche un altro capitolo, come scrive nell’introduzione Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma: «Emerge, in particolare, il valore inestimabile della solidarietà non solo fra gli ebrei romani perché furono molti i non ebrei che parteciparono alla raccolta, dimostrando anche in questa circostanza quello storico e radicato sentimento di identità e condivisione fra la Comunità e la città di Roma».
Scrive il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, a proposito del criminale ricatto di Kappler: «Fu un’operazione banditesca di vessazione e umiliazione, che sfruttava la speranza di salvezza e l’illusione di incolumità che purtroppo dominava gli ebrei di Roma, ignari delle vere minacce e insensibili alle notizie, che pure erano arrivate, della ferocia nazista».
La Comunità si organizzò con disperazione ma anche con efficienza: catene telefoniche, uffici mobilitati, volontari anche adolescenti. Spiegano nel testo le due curatrici: «A questa corsa contro il tempo si unirono anche alcuni cattolici, in uno slancio incredibile di solidarietà e coraggio. Amici, conoscenti, persone che avevano lavorato al servizio di ebrei o al loro fianco, semplici cittadini che non avevano nulla a che fare con gli ebrei e con la comunità, vennero ad aiutare, portando oro da donare o da vendere per poter contribuire come potevano. Gran parte di queste persone non dichiararono i loro nomi e risulta purtroppo impossibile risalire al numero esatto di persone che vennero ad aiutare gli ebrei durante la raccolta».
Nel libro passano tante figure, come quella di una anonima, giovane, bellissima donna, bionda e vestita di nero, che porta alcune sterline d’oro raccolte in un fazzoletto. Non vuole ricevuta, niente nomi, poi corre via su una lussuosa auto nera con autista, misteriosamente priva di targa anteriore e posteriore.
Emma Alatri, storica maestra e direttrice della scuola ebraica scomparsa nel 2018 a 92 anni (tra i suoi alunni anche Clemente Mimun) ricordava: «Molti amici cattolici ci telefonarono, portarono il loro contributo. Fra questi ricordo una domestica che abitava nel nostro palazzo che portò il suo contributo in oro e questo fu un avvenimento talmente sensibile e commovente che questa donna ha poi seguitato a frequentare la nostra famiglia».
Compare Romolo Balzani, ai tempi popolare cantautore e attore, collaboratore di Aldo Fabrizi ed Ettore Petrolini (è sua la celeberrima Barcarolo romano) che arriva negli uffici della Comunità e lascia un anello con brillante regalatogli da amici ammiratori ebrei quando si esibiva al cinema Arenula. Se ne va, secondo le testimonianze, cantando: «Credi che chi cià l’oro sia un signore/ l’oro pe me nun conta, conta er core...».
Tutto inutile. Gli ebrei romani deportati furono 2.091. Tornarono solo 73 uomini, 28 donne e nessun bambino su 1.067 uomini, 743 donne e 281 bambini.