ItaliaOggi, 4 febbraio 2023
Orsi & tori
Mentre in Francia sta fiorendo Bulb, in italiano bulbo, che lancia la sfida a OpenAI di Microsoft e a Sparrow di Google, elaborando una chat che non darà solo risposte ma indicherà anche le fonti delle stesse, il mondo globale sta entrando in un’altra vera, radicale, sfida, quella della conquista delle cosiddette terre rare, fondamentali non solo per lo sviluppo dei trasporti elettrici ma di molte altre realizzazioni.
Dominatore assoluto è la Cina, che ha nel suo territorio quasi tutti i tipi di terre rare, ma che soprattutto ha bruciato i concorrenti in Africa, aggiudicandosi tutti i giacimenti più importanti. Incredibilmente gli Stati Uniti hanno lasciato campo libero alla Cina, che ha offerto a tutti i paesi più ricchi di terre rare, autostrade, servizi digitali, ferrovie con molti miliardari cinesi che oltre alle terre rare hanno comprato miniere su miniere.
Sorpresa delle sorprese l’Italia, poverissima di materie prime, si è scoperta ricchissima di due importanti terre rare: antimonio in Toscana e titanio in Liguria. Due componenti rari usati negli smartphone e nei pannelli solari. C’è da domandarsi perché finora questi giacimenti, di cui si conosce l’esistenza almeno dal 2013, non siano stati sfruttati. Possibile che nessun governo finora si sia mosso, se non lo hanno fatto i privati, per cercare di sfruttare almeno questi giacimenti? Non possibile, reale.
Basterebbe imitare il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che accompagnato dai manager della Bayer e Volkswagen ha fatto un recente viaggio addirittura in Argentina, Cile e Brasile, per assicurare alle aziende nazionali abbondanza di una delle terre rare per il futuro del mondo e in particolare per l’industria automobilistica. Si tratta del litio, fondamentale per la produzione delle batterie. Nel primo paese industriale della Ue, con un pil che è ampiamente superiore a quello francese e addirittura doppio di quello italiano, si è mosso addirittura il capo del governo a fare come faceva a suo tempo il suo predecessore, Angela Merkel, che ha organizzato e si è imbarcata su decine di jumbo jet diretti in Cina pieni di imprenditori e manager tedeschi. Sì che ora il paese che ha il maggior interscambio con il paese più popoloso del mondo è la Germania.
È vero, nei suoi primi giorni da presidente del consiglio Giorgia Meloni non è stata con le mani in mano perché ha viaggiato insieme al ceo di Eni, Claudio Descalzi, nella malsicura Libia per assicurare all’Italia la fornitura di petrolio in sostituzione di quello russo. Missione fondamentale perché quella dell’energia è l’emergenza, ma occorre che il governo favorisca lo sfruttamento delle terre rare esistenti in Toscana e in Liguria, oltre ad altre che potranno essere scoperte.
Perché da una parte la rivoluzione digitale e dall’altra quella della sostenibilità hanno giù cambiato e cambieranno sempre di più il fabbisogno di materie prime diverse dal passato.
Il paradosso è che più di 10 anni fa era stata organizzata dall’Università La Sapienza di Roma una giornata dedicata alle materie prime. Che si sappia, da allora gli obbiettivi sono stati diversi e delle terre rare non si è più parlato e operato. La scelta di Scholz di fare da apripista alle aziende tedesche in Sud America per conquistare appunto la terra rara fondamentale per l’industria automobilistica, il litio, dovrebbe servire di sprone. Oltre quelle in Toscana e Liguria, il sistema industriale ha sempre più bisogno di altre terre rare. E le nuove scoperte nella stessa Europa non mancano.
Proprio recentemente è in un certo senso partita la sfida europea, con le scoperte nella Lapponia svedese. Si tratta di minerali fondamentali per la svolta ecologica, terre rare anch’esse. La scoperta è stata fatta in una miniera di materiali ferrosi in funzione da 120 anni a Kiruna, dove appunto è stato scoperto un giacimento di terre rare che potrebbe garantire un milione e più di tonnellate. E’ un risultato importante ma viene la malinconia quando si scopre la stima secondo cui, incluse altre scoperte che potranno avvenire in Francia, Spagna e Scandinavia, la Ue riuscirà ad avere terre rare per appena il 20% del fabbisogno dei paesi dell’Unione.
Oggi la dipendenza dalla Cina raggiunge quasi il 100% del fabbisogno, compresi i giacimenti che il Celeste impero ha conquistato in Africa. E non si può non sottolineare l’incomprensibile distacco degli Stati Uniti, che hanno lasciato campo libero fin da quando il bravo presidente Obama, forse per il complesso di essere afroamericano, in otto anni visitò il continente del futuro solo tre volte.
Nel mondo, dopo la Cina+Africa i paesi con le maggiori risorse disponibili sono l’Australia, la Russia, l’India, il Vietnam. Mentre in Cina sono stimate già scoperte terre rare pari a 45 milioni di tonnellate, in Vietnam le tonnellate sono stimate a 22 milioni di tonnellate, 123 in Russia, 22 in Brasile, e 8 tonnellate in India.
Ce n’è abbastanza, in questo caso, per temere quanto è avvenuto con la guerra in Ucraina per la dipendenza energetica di molti paesi europei dalla Russia. A Bruxelles qualche segno di consapevolezza c’è del rischio in campo e proprio per questo è stato varato il piano Eurorare e quindi l’European Raw materials Alliance, ma appunto con l’obiettivo di coprire il fabbisogno di appena il 20% una volta fatte tutte le scoperte.
Sull’Europa, e quindi sull’Italia, pende quindi un’altra straordinaria minaccia come quella energetica. In questo contesto gli Stati Uniti, anche se hanno abbandonato l’Africa, hanno forse le risorse in patria per una autosufficienza o quasi ingaggiando un’altra competizione con la Cina, che giova ripeterlo domina nelle riserve e nel mercato.
La scelta, soprattutto del presidente Xi Jinping, è stata quella di lasciare che i miliardari cinesi andassero a conquistare le terre rare dell’Africa, offrendo qualsiasi tipo di assistenza e di aiuto economico ai paesi disposti a collaborare, in alcuni casi perché erano paesi a regime, per così dire, maoista.
Oltre alle terre rare già menzionate, fra le altre (in totale sono 17, tutte o quasi fondamentali per tecnologia, energia rinnovabile e settore automobilistico) sono il lantan (un metallo bianco simile all’alluminio), lo scandio (elemento chimico con numero atomico 21) e il cerio (un metallo duttile che si ossida all’aria aperta ed è abbastanza morbido da poter essere tagliato). Gli altri minerali che compongono le terre rare sono l’ittrio (grigio argento, viene usato nella preparazione dei fosfori per tubi catodici e nelle leghe del cromo), il praseodimio (che garantisce conducibilità termica), neodimio (usato negli auricolari ergonomici), promezio (fonte luminosa per misure di spessore), samario (utile per la realizzazione di reattori nucleari), europio (assorbente di neutroni per reattori nucleari), gadolinio (per produrre granati utilizzati nei dispositivi a microonde), terbio (usato per drogare il fluoruro di calcio), desprosio (usato per la realizzazione di laser e molto importante per realizzare motori ibridi), olmio (per produrre campi magnetici artificiali), erbio (per filtri in fotografia), tulio (fonte di energia), itterbio (additivo per l’acciaio inossidabile), lutezio (usato in leghe metalliche come catalizzatore).
Con questo elenco ho probabilmente annoiato i lettori, ma era necessario per dare la dimostrazione di quanto siano sempre più importanti le terre rare man mano che cresce lo sviluppo tecnologico. Chi non le ha si troverà in difficoltà, a meno che non sappia realizzare un rapporto con la Cina e con gli altri paesi, che allo stato attuale delle scoperte sono in possesso di questi tesori fino a poco tempo fa quasi ignorati. Un altro motivo per essere in buone relazioni con la Cina.
E in effetti sembra che dal vertice di Bali, sia Xi Jinping che Biden hanno dialogato facendo capire che una guerra per Taiwan non ci sarà e che il dialogo continuerà. Rientrava in questa strategia bilaterale la visita a Pechino di Antony Blinken, che però venerdì 3 è stata rinviata sine die per la vicenda del pallone-spia cinese intercettato sul suolo americano. Al di là di questo rinvio, la reazione dei repubblicani non si era fatta attendere. Al congresso guidato dai repubblicani un comitato indagherà su tutti i rapporti fra America e Cina. Si chiama House China select committee e peserà, anche se non avrà capacità legislativa. «L’era della fiducia nella Cina è finita e la sfiducia è bipartisan», si è affrettato ad affermare Kevin McCarthy , il presidente repubblicano della camera eletto alla 15esima votazione. Soltanto 65 deputati hanno votato contro.
Come si capisce, il mondo è ancora, o sempre più instabile. Sarà bene che l’Italia, almeno sul piano economico, sfrutti tutte le opportunità dirette anche con la Cina e che ben presto la presidente Meloni, dopo aver accettato l’invito di Xi Jinping, si rechi davvero a Pechino, come già ha fatto, nella tradizione Merkel, il cancelliere Scholz ben lesto ad aggiudicarsi il litio per lo sviluppo della fondamentale industria automobilistica e non solo.
* * *
Ci mancava l’offerta di Kkr sulla rete Tim, dove lo stato ha una partecipazione attraverso Cdp. La notizia ha fatto il botto in borsa, ma se ciò può rallegrare chi ha investito in Tim non è certo una buona notizia per il paese. Da quanto si è capito (la Consob ha tempestivamente chiesto chiarimenti), il fondo americano vorrebbe prendere tutto. Se così accadesse, sarebbe la seconda volta che un asset fondamentale per le telecomunicazioni nazionali esce completamente dalla sfera di necessario controllo pubblico. Successe con la insensata (nei modi e nelle quantità) privatizzazione, ai tempi in cui l’Italia doveva entrare nell’euro: pur controllata dalle partecipazioni statali attraverso l’Iri, l’allora Stet-Sip era un’eccellenza assoluta, la più internazionalizzata di quelle europee, con già allora due unicità: il progetto di fibra e poi le sim ricaricabili di Tim inventate dall’ingegnere Mauro Sentinelli. La tecnica di privatizzazione fu quella del cosiddetto nocciolo duro, cioè un gruppo di azionisti che garantivano il controllo e la stabilità del gruppo. Peccato che invece di un nocciolo si trattò di un nocciolino, in cui il maggior azionista era l’Ifil degli Agnelli che non arrivava all’1%. Risultato inevitabile, l’opa lanciata da Olivetti con Roberto Colaninno al comando e uno dei cavalieri coraggiosi (definizione di Massimo D’Alema), il bresciano scafato e spregiudicato Emilio Gnutti, più la sciagurata banca d’affari americana, la Lehman brothers, che con il suo successivo fallimento portò il mondo occidentale in recessione per anni. A questo disastro tentò di porre rimedio, con un piano di grande respiro Marco Tronchetti Provera, che fu costretto a cedere alle forze politiche decidendo di uscire con il passaggio alle banche italiane Intesa e Capitalia, più la partecipazione della spagnola Telefonica. Altra sciagura, che ha portato la ex-Telecom a vedere come principale azionista con il 25% la francese Vivendi e la presenza di Cdp.
Sono ormai anni che si parla della fusione della rete di Tim con quella promossa da Cdp. Avere una rete forte sarebbe buono per il paese e per gli italiani. Ma finora solo parole, mezze mosse, passi indietro. Fino al momento in cui ora è sbucata l’offerta di Kkr, fondo certo serio ma pur sempre un fondo il cui maggior guadagno si registra al momento in cui rivende.
Presidente Giorgia Meloni, ministro Giancarlo Giorgetti, non è il caso che, in mezzo a tutti gli impegni e i problemi, e insieme ai vertici di Cdp, definiate una strategia capace di avere una società di telecomunicazioni (e tutto il resto che ne deriva) che sia in grado, comunque, di dare servizi di qualità e innovativi all’Italia?
Si dirà: alle brutte, lo stato ha la golden share. Anche prima lo stato l’aveva, ma il risultato è quello che si vede: una società fondamentale per lo sviluppo del paese da anni in mezzo alle onde di una tempesta infinita.