Avvenire, 4 febbraio 2023
Differenze tra nazionalismo e fascismo
Recentemente, nel centenario della Marcia su Roma, sono comparsi diversi scritti su (e di) Mussolini e il fascismo in generale, ma prendere in mano Miti e ideologie, l’ultimo lavoro di Giuseppe Bedeschi dedicato al pensiero politico italiano dall’età giolittiana al fascismo (Le Lettere, pagine 330, euro 24) significa dotarsi di una bussola per tentare una traversata che sembra ancora oggi impossibile: superare il fascismo non verso sinistra, ma verso destra, andando cioè a recuperare, all’interno del nazionalismo politico del quindicennio giolittiano precedente alla Grande Guerra, l’anima conservatrice, messa in secondo piano (ma mai definitivamente scomparsa) a causa al prevalere dell’anima rivoluzionaria che, tra il 1919 e il 1922, avrebbe portato al Programma di San Sepolcro e alla Marcia su Roma. Un discorso simile, nel volume di Bedeschi, viene fatto a proposito del socialismo riformista e “settentrionale” di un Filippo Turati (e seguaci), “conservatore” perché non orientato alla rivoluzione, ma “radicale” quanto alla tipologia dei diritti sociali che difendeva a vantaggio della classe operaia: anch’esso, infatti, venne relegato in secondo piano dal prevalere del socialismo rivoluzionario che, sull’onda del sindacalismo rivoluzionario francese di George Sorel, si rifaceva al pensiero del meridionalista Gaetano Salvemini e dei marxisti Arturo Labriola e Antonio Gramsci, l’intellettuale di Cagliari che, nel 1921, fu tra i fondatori del Partito Comunista Italiano. Il professore emerito di filosofia alla Sapienza (classe 1939), nonché uno dei massimi studiosi italiani di marxismo e di liberalismo, ci spiega infatti che il nazionalismo conservatore del fondatore dell’Associazione Nazionalista Italiana (ANI) e della rivista “Il Regno”, Enrico Corradini, non va confuso col nazionalismo rivoluzionario del gruppo dei giovani, come il giurista Alfredo Rocco o i fondatori de La Voce (Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini): personaggi, tutti appartenenti all’ANI, che però (a differenza del cinquantenne Corradini) avevano vent’anni ai primi del secolo e risultavano vicini alle inquietudini (a tratti decadenti) di uno dei principali ispiratori e costruttori del nazionalismo rivoluzionario coetaneo di Corradini, Gabriele D’Annunzio. Nel 1923, l’ANI sarebbe confluita tutta intera nel Partito Nazionale Fascista (PNF) e, nei due anni successivi, Alfredo Rocco sarebbe diventato Presidente della Camera e poi (all’indomani del delitto Matteotti) Ministro della Giustizia e degli Affari del culto, nelle cui vesti avrebbe scritto il nuovo Codice di Diritto Penale e il nuovo Codice di Procedura Penale (il primo in vigore ancora oggi). Eppure, quella suddivisione interna al nazionalismo non smise di esistere, portando l’ala conservatrice o “corradiniana” a criticare dall’interno il Regime. Il conservatorismo corradiniano, avendo tangenze col nazionalismo rivoluzionario “prima maniera” di Giuseppe Mazzini, pagava un debito alla fonte ispiratrice di questi (Hegel) e aveva, di conseguenza, dei legami con l’idealismo italiano, e non solo con quello fascista (Gentile) che morì assieme al Regime, ma anche con quello antifascista (Croce) che gli sopravvisse. Così la destra rivoluzionaria, come quella conservatrice, sopravvisse al fascismo