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 2023  febbraio 04 Sabato calendario

L’economia commestibile

Che rapporto c’è fra la carota arancione e il sistema dei brevetti interconnessi? tra il pollo e le diseguaglianze sociali? fra la varietà delle banane e l’etica delle multinazionali? il manzo e i trattati ineguali fra nazioni? la segale e lo stato sociale? il peperoncino e l’invisibilità del lavoro domestico? le acciughe e gli standard di vita? E, soprattutto, fra l’aglio e la teoria del liberismo economico?A porre queste bizzarre domande è l’economista coreano Ha-Joon Chang in un libro che, fra divertenti voli pindarici e seriosissimi flussi di coscienza, ha lo scopo di fondare ironicamente una nuova scienza – l’economia commestibile – o, invertendo la prospettiva, di indicare come e quanto la gastronomia mondiale, soprattutto se pensata in chiave storica e sociale, ha da insegnare ai guru della cosiddetta scienza triste. La cucina, la buona tavola, il buongusto si fondano su una necessaria disposizione all’apertura mentale e all’ibridazione, alla varietà infinita e all’incessante, euforica sperimentazione. Dovrebbe fare altrettanto, secondo Chang, la teoria economica, data la sua fondamentale importanza, tramite le politiche pubbliche, per le nostre vite, individuali e collettive.A seconda della visione economica prescelta, si deciderà se procedere nell’industrializzazione di un paese in via di sviluppo o se, poniamo, non salvaguardare piuttosto le materie prime locali, agricole o minerarie che siano. Analogamente, ogni teoria economica decide a priori, spesso a tavolino e ideologicamente, quali e quanti siano i «bisogni» della specie umana e, con essi, i «servizi essenziali» che ogni nazione deve offrire ai propri cittadini. Alcuni economisti si son posti anche il problema, in linea di principio filosofico, se l’uomo sia egoista oppure altruista, con tutte le conseguenze del caso. «L’economia – scrive Chang – influenza ciò che le persone credono normale, il modo in cui si considerano reciprocamente e il comportamento che adottano per conformarsi». Pendere verso il liberismo o il protezionismo, Keynes o Marx, non è pura speculazione filosofica ma, alla fin fine, speculazione finanziaria.L’operazione condotta da Chang in questo libro, dato che abbiamo citato l’autore del Capitale, potrebbe essere insomma definita come una critica dell’economia politica con altri mezzi: quella della cucina e del cibo.Non foss’altro perché, lamenta Chang, oggi nelle università prevale sempre più una «monocoltura intellettuale», ovvero una sola teoria economica, mettendo in disparte, se non ignorando completamente, tutte le altre: quella dell’economia neoclassica, versione attuale del vecchissimo liberismo economico. Si torna sempre più a parlare (e ad agire in nome) di una presunta libertà di mercato, facendo finta di dimenticare – argomenta Chang per il tramite della storia della patata e delle spezie, della fragola e del cioccolato – quanto a questa libertà sul piano dell’impresa corrisponda a una diseguaglianza sul piano sociale. Del resto, i principali paesi che vantano questo genere di prassi economica (gli Stati Uniti e l’Inghilterra in testa) sono proprio quelli che, a più riprese, hanno tatticamente adottato politiche protezionistiche per favorire le loro imprese locali.Si tratta, sussurra Chang, di una cosa analoga al problema dell’aglio. Sembra che in Corea non ci sia pietanza che non lo utilizzi, e in grande quantità (fra il 2010 e il 2017 nella sola Corea del Sud si sono consumati 7 chili e mezzo d’aglio per abitante!). Di modo che quando un garlic monster, ossia appunto un coreano, va all’estero, trova tutto insapore, inodore, senza qualità. Esattamente come un neoliberista che si trova in un paese a tendenze socialiste e sente parlare di welfare.Ma torniamo alla carota. Che è arancione, come non molti sanno, in onore dell’olandese Guglielmo d’Orange. Da quando costui guidò eroicamente la rivolta contro la Spagna, tutti si misero a coltivare carote di quel colore, rendendo questo ortaggio «il più politico della storia», e diffondendo a poco a poco per il mondo, senza saperlo, il betacarotene, sostanza naturale che fa tanto bene al corpo umano. Quando si scoprì la cosa, in tanti si misero a sperimentare sul betacarotene, ci fu chi lo iniettò nel riso, e fu necessario collegare le decine di brevetti che ne vennero fuori. L’idea stessa di brevetti interconnessi viene dall’ignara carota.Così la segale, originaria della Turchia, è il simbolo dei sistemi alimentari del Nord d’Europa grazie al fatto che Bismarck ne diffuse la coltura in Prussia, inventando al contempo, in chiave antisocialista, un programma assicurativo per proteggere i lavoratori dagli infortuni. Lo stato sociale e la diffusione di questo cereale hanno vissuto il medesimo destino. Come il lime e le ricerche sull’energia, i gamberetti e l’imprenditoria assistita, il noodle e le banche statali.Diciamolo ai nostri governanti. Magari inseriranno l’economia commestibile nel prossimo PNRR