Tuttolibri, 4 febbraio 2023
A proposito di Dylan Dog
«Credo che l’interesse principale di questo dialogo stia nel far parlare Sclavi che parla pochissimo, mentre tutto quello che io penso è già stato stampato. Quindi farò la parte del “grillo parlante” e del provocatore… Io ho l’impressione che nella “dylandogmania” le differenziazioni, che implicano un giudizio estetico tra episodi più o meno riusciti, scompaiano di fronte al gioco-quiz che fa del “dylandoghista” esperto colui che ricorda tutto; fenomeno riscontrabile appunto anche tra i dantisti per i quali il ricordare il determinato verso o il saperne fare la crittografia mnemonica è criterio di eccellenza, indipendentemente dal fatto che sia un verso ben riuscito o mal riuscito… È proprio questa differenza tra “culto” e “critica” che stavo cercando di mettere in questione, e mi interessa conoscere la sua reazione…»
SCLAVI «La mia reazione è sempre e comunque di stupore… Lo stupore inizia dal fatto che c’è qualche pazzo che mi dà dei soldi per scrivere… Sono stupito oggi, così come rimasi stupito a sedici anni nel vedere un mio racconto pubblicato sulla rivista della scuola… Lo stupore è identico ad allora. E poi sono stupito che la gente lo legga, e poi che ne parli… Non mi sembra vero…»ECO «Io sono rimasto stupito ogni volta che una donna mi ha amato, mentre ogni volta che qualcuno mi ha pubblicato… beh, dicevo: «Mi sembra giusto!». Si vede che ero più insicuro sessualmente che letterariamente…Senta un po’… Io sono un lettore di Dylan Dog, ma non sono un dylanmaniac, quindi alcuni episodi non li ho letti e magari altri li ho letti quattro volte perché mi ero dimenticato di averli già letti, quindi, in questo senso, non ho una competenza specifica, rappresento il lettore normale… Ora, mi corregga se sbaglio, ma mi sembra che, dalle origini a oggi, Dylan Dog abbia seguìto una curva “ideologica"… E, nella mia mente, la curva ideologica è stata questa, una prima fase in cui la storia è la seguente: accade un fatto inspiegabile e apparentemente misterioso, c’è un’indagine attraverso cui del mistero si dà una spiegazione più o meno razionale, mentre alla fine, con un colpo di coda, si avanza maliziosamente il sospetto che invece il misterioso esista veramente… Dopo questa prima fase, questo gioco scompare e l’occulto, il misterioso, l’inspiegabile, l’irrazionale prendono il sopravvento… È solo una mia impressione?»SCLAVI «Che lo schema originario fosse quello da Lei descritto è vero. Da Carrie in poi l’hanno usato tutti e l’ho usato anch’io… Ma è chiaro che dopo venti numeri questo schema diventa noioso, anche per me che lo scrivo… Io devo divertirmi mentre scrivo, perché altrimenti non ho nessuna possibilità di divertire gli altri… E per divertirmi devo prima crearmi delle regole e poi sovvertirle…»ECO «Che poi è un principio fondamentale di ogni operazione artistica…»
SCLAVI «Certo… perciò, dalle prime storie in cui era presente questo schema, ci si è mossi man mano verso il surreale e il misterioso… Questo cammino verso il surreale ha assunto connotazioni diverse: per i primi sessanta numeri circa si è trattato di un surreale/horror o splatter… Poi mi sono annoiato dello splatter, quindi ultimamente di horror c’è ben poco: il tono della serie è surreale/ romantico o quello della sophisticated comedy, virata al surreale… Il mio sogno è sempre stato quello di fondere i generi: perciò l’idea di mettere insieme Ernst Lubitsch, Neil Simon e il George Romero di Zombi mi diverte moltissimo. Far parlare i personaggi come fa Neil Simon, ma in un contesto horror… Che meraviglia!»ECO «Questa evoluzione della serie corrisponde a un calcolo commerciale – ovvero la proposta viene variata secondo le richieste del pubblico – o dipende anche da una trasformazione interiore? Dico questo perché io sono un collezionista di libri antichi che riguardano l’alchimia e le questioni magiche, ma sono un collezionista “ateo”, che non crede nelle cose che colleziona; anzi le colleziono proprio perché amo collezionare cose false. Naturalmente ho rapporti con librai antiquari specializzati in questi argomenti e una volta ho chiesto a uno di loro: “Ma Lei crede in quello che vende?”, e lui mi ha risposto: “All’inizio no… Ma, sa, continuando ad avere un certo tipo di clientela, continuando a leggere un certo tipo di testi, frequentando un certo ambiente, devo dire di sì… Ora ci credo un po’ di più…”. Allora, Sclavi, Lei crede nell’occulto di cui scrive?»SCLAVI «No. Anzi, viene detto esplicitamente, e nell’ultimo periodo è stato ripetuto più volte, che l’occulto, il misterioso, il demoniaco vanno benissimo per le opere di fantasia, ma che la realtà è ben alta cosa… Anzi, nella serie ho inserito un personaggio, il professor Adam, che è un po’ il simbolo del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), di cui sia io che Lei facciamo parte.Se devo fare un’eccezione, la faccio per gli UFO: non ci credo, ma ci spero. Tutto il resto è accettabilissimo nelle storie di fantasia, non certo se serve per spillare soldi alla gente, come nel caso dei “maghi” a pagamento, dei “guaritori”, degli “esorcisti”, dei falsi “soggetti esp” e via dicendo…»ECO «Ma allora Lei mi spinge a farle una domanda molto imbarazzante, perché mette in gioco dei criteri etico-morali all’interno del discorso letterario. È certamente vero che finché un narratore scrive per trecento lettori può anche fare l’elogio dell’oppio, ma se improvvisamente si trovasse a essere letto da dieci milioni di lettori, forse potrebbe avere un problema morale. Io ho iniziato a scrivere su L’Espresso quando era un foglione con ottantamila lettori radical chic e facevo dell’ironia; quando L’Espresso è diventato un tabloid e il numero dei lettori è aumentato enormemente, ho capito che se facevo dell’ironia, questi nuovi lettori non mi avrebbero capito più; e questo mi ha posto dei seri problemi di coscienza. Ecco, vivendo in un’epoca di New Age trionfante, e non potendo avere il “vantaggio” di essere un autore per trecento lettori, non le nasce il problema che quello che Lei scrive da iscritto al CICAP, con taglio ironico, sia per un considerevole numero di lettori una sorta di invito all’irrazionale?È un problema che ho avuto io scrivendo Il pendolo di Foucault, che credevo essere apertamente un romanzo grottesco sull’irrazionale e mi sono ritrovato a ricevere lettere di persone che l’hanno preso sul serio… Se è successo a me con un numero di lettori più ridotto e non di età adolescenziale – mentre a Lei va riconosciuta una leadership che va dal professore universitario accademico dei Lincei al ragazzino di terza media – non si è mai posto questo problema tanto serio da togliere il sonno?»SCLAVI «Mi sono posto un problema morale di altro tipo, ma analogo e che riguarda la violenza…»ECO «Ecco, questo mi interessa saperlo… Non ci sono tra i lettori di Dylan Dog i ragazzini che credono veramente nell’esistenza dei morti viventi?»SCLAVI «No, o almeno lo credo, e lo spero. Io dico sempre che, per un colpo di fortuna, Dylan Dog ha intercettato miracolosamente gente che sta al gioco… D’altronde è un fumetto impossibile da leggere per un pubblico di scarsa cultura o che si lascia influenzare… Perché è difficile, complesso, con alcune storie al limite della comprensibilità…»ECO «Quindi il problema è sorto…»SCLAVI «Certo, ed era un problema di grande responsabilità, soprattutto qualitativa, che è quella di dare sempre il meglio a questi lettori che sono così fedeli e così numerosi… I primi cinquantamila affezionati magari una storia non proprio riuscita me la perdonavano… Ma le altre centinaia di migliaia?Per quanto riguarda il problema morale della scrittura, io penso che l’influenza che un fumetto o un film possono avere sulla realtà sia assolutamente nulla… Posso citare una frase di Stanley Kubrick recentemente tornata di attualità… All’uscita di Arancia meccanica hanno posto a Kubrick il problema di una possibile emulazione da parte dei giovani di quanto visto sullo schermo; e lui ha risposto che nemmeno con la suggestione post ipnotica si può costringere qualcuno a fare ciò che è contro la sua natura… Se uno strangola la nonna, significa che è nella sua natura; vedere un film, sentire l’heavy metal o leggere Dylan Dog non può nemmeno rappresentare l’occasione che stimola la violenza: rifiuto totalmente questo genere di responsabilità, anche sulla base di fior di sentenze di tribunale.»ECO «È ovvio che in una società in cui tutti fossero iscritti al CICAP, ogni racconto di H.P. Lovecraft verrebbe preso allo stesso modo in cui io colleziono i più raffinati testi alchemici senza crederci affatto… Ma oggi, in un clima di New Age imperante, appena qualcuno parla di alchimia, si trova subito chi è disposto a crederci…Qui però devo porre una questione che per me è problematica… Non per far polemica con Sclavi o con Kubrick, ma perché è un dilemma che mi pongo come esperto di comunicazione… La questione se i mass media possano indurre alla violenza è vecchissima; i primi studi risalgono agli anni Sessanta – io già ne parlavo in Apocalittici e integrati – e sembra che la conclusione più ragionevole raggiunta all’epoca fosse la seguente: lo spettacolo della violenza induce alla violenza solo in contesti socio familiari particolarmente difficili mentre non ha effetti ansiogeni in soggetti che vivono in famiglie equilibrate… Benissimo… Uno psicologo del cinema, Gilbert Cohen-Séat, mi ha raccontato di aver visto solo una volta, in tutta la sua vita, un bambino completamente nevrotizzato dalla visione di un film, al punto da finire sotto cura psichiatrica… e il film era Biancaneve e i sette nani…Questo mi ha fatto riflettere moltissimo: è naturale che i western degli anni Sessanta, con diecimila indiani morti, non potevano avere nessun effetto, perché il morto cadeva sempre da lontano: non c’era un rapporto diretto tra chi sparava, la pallottola e la caduta… E oserei dire che nemmeno lo splatter più truculento, quello in cui uno infila un coltello nella pancia di un altro, facendone fuoriuscire le budella, con il sangue che sprizza dal naso e dagli occhi, può indurre qualcuno alla violenza, tanto è disgustoso… Secondo me, i film più pericolosi per i giovani sono quelli della serie di Tom & Jerry, quelli in cui qualcuno cade dal trentesimo piano di un grattacielo, si frantuma in diecimila pezzi e subito dopo si ricompone…Noi siamo qui di fronte a un fenomeno storico: la mia generazione è l’ultima che ha visto i morti dal vero, per i bombardamenti, per le sparatorie durante la Resistenza… Io li ho visti i morti; ho visto la gente con un buco nella nuca e il cervello che usciva dall’altra parte… Oggi ci troviamo di fronte a una generazione che i morti non li ha visti; come non ha visto i cavalli o le vacche: è risaputo che un’inchiesta tra i giovani americani ha rivelato l’opinione diffusa che il latte fosse un prodotto artificiale, come la Coca-Cola… Trovare un bambino che ha visto un morto ammazzato è piuttosto raro: perciò, quello che rende pericoloso lo splatter non è l’invito all’emulazione – credo che sia molto difficile vedere un film e farsi venire la voglia di andare a piantare un coltello nella pancia di qualcun altro – bensì il possibile effetto di ottundimento dell’orrore per la morte, il credere che la morte sia virtuale… Credo che ci sia bisogno, per i giovani, di una nuova “educazione alla morte”, affinché non se ne perda il senso… Ma in ogni caso è qui che oggi nasce il problema morale del raccontare la morte.»SCLAVI «Anch’io ho visto Biancaneve e i sette nani da bambino: ero in casa da solo e sono scappato fuori per strada a cercare i miei amici, che mi stessero vicino perché avevo paura… Odio Walt Disney sopra ogni altra cosa… In ogni caso, penso che romanzi, film, fumetti e videogiochi di contenuto violento siano liberatori, perché fanno vedere il morto ammazzato senza che questo sia vero… Lei mi dice di aver visto i morti e io non la invidio… Io ho visto all’obitorio un morto di morte naturale e a momenti portavano via me in barella!Ciò che rende virtuale l’orrore non sono i film o i fumetti, ma i programmi televisivi come Carramba che sorpresa!, Stranamore e tutte le altre trasmissioni di questo genere…I ragazzi che hanno ucciso gettando i sassi dal cavalcavia non si ispiravano a Dylan Dog, ma a programmi di questo tipo! Io credo che quei ragazzi pensassero di diventare gli ospiti d’onore di una trasmissione televisiva e che la vittima poi li avrebbe raggiunti in studio per un abbraccio finale…»ECO «È una risposta che non mi dispiace…»CRISTINA SCLAVI «Io vorrei inserirmi e fare una considerazione da lettrice… Io ero ossessionata, come credo molti adolescenti, dal problema della morte e ho scritto una lettera a Tiziano, che già conoscevo per vie indirette… Il problema allora era trovare uno spazio in cui si potesse parlare della morte, perché ciò che dice Lei, professor Eco, è verissimo, ma non solo in riferimento ai morti ammazzati, perché la nostra generazione ha avuto un “difetto di morte”, è una generazione che non crede più alla morte, che crede che Tom e Jerry si rialzino sempre… E questo vale anche per il crack, per l’anoressia, per gli incidenti stradali: uno non crede più di morire. Anche la ritualità che accompagnava e rendeva la morte pensabile, che legittimava un tempo per l’elaborazione del lutto è scomparsa: i morti vengono portati via in pochissimo tempo, non ci sono più le veglie funebri…Invece io e gran parte dei lettori di Tiziano siamo persone che si interrogano sul senso della morte, perché è qualcosa che non si può escludere dal proprio orizzonte, ma che vivono in un contesto sociale che non fornisce risposte, che elude e nasconde il problema… Uno spazio specifico come Dylan Dog dove della morte si parlava, magari ironizzandoci, ma comunque si parlava, era strano: era un’occasione quasi “magica” di cui approfittare per approfondire gli aspetti più intimi della paura, della speranza, del trascendente… era uno spazio in cui il problema veniva affrontato in maniera così esplosiva ed eclatante che non si poteva far finta che non ci fosse (potendone anche ridere, però)! A me non pareva vero di aver trovato un interlocutore sul tema della morte… E così gli ho telefonato, ci siamo conosciuti… e ci siamo sposati!»ECO «Sposati all’ombra della morte!»CRISTINA SCLAVI «All’ombra della morte abbiamo trovato la vita. Non è male…»SCLAVI «Adesso una domanda gliela faccio io… Ma Lei che fumetti leggeva?»ECO «Io nasco con Mandrake, Flash Gordon, Jacovitti, Dick Fulmine… Sono di quella generazione… Già Gim Toro era secondario e Tex non l’ho mai letto perché è uscito in un’epoca in cui io non leggevo più e non leggevo ancora fumetti, ovvero smetto di leggerli negli anni Cinquanta e ricomincio negli anni Settanta…»SCLAVI «E perché le piace Dylan Dog?»ECO «Il mio modello è un personaggio di Hugo Pratt – un dàncalo o un eritreo, non ricordo più bene – che faceva cose stranissime e alla domanda che gli veniva rivolta: “Perché fai questo?”, lui rispondeva: “Perché tale è il mio piacere"… Mi sembra una risposta inattaccabile… A me piace Dylan Dog perché di solito è disegnato bene, per le sue continue strizzate d’occhio, mi piace perché io sono convinto di sapere tutte le barzellette del mondo e non riesco a capire come mai Groucho ne sa sempre una più di me… A proposito, dove le va a prendere? Non è controllabile da nessun essere umano una tale quantità di battute…»SCLAVI «Per quanto è possibile le invento io; anzi, soprattutto negli ultimi anni mi sforzo affinché siano solamente inventate… A volte per una sola battuta di Groucho mi ci vuole un giorno intero, il che è una follia… E poi naturalmente ho la più grande biblioteca di raccolte di barzellette che esista…»ECO «Adesso, Sclavi, Le faccio davvero l’ultima domanda… Lei deve scegliere: entro l’anno Tremila ci sarà una catastrofe atomica, ma la civiltà che verrà sarà più o meno come la nostra. Preferisce che sopravvivano gli albi di Dylan Dog o le sceneggiature scritte di suo pugno?»SCLAVI «Sì, ma la Divina Commedia rimane, però…»ECO «Sì, sì…»SCLAVI «Allora scelgo gli albi… Una volta pubblicato l’albo, la sceneggiatura si butta via, non può vivere per conto suo… Tra l’altro, mi sembra doveroso ricordare che un albo è mio (o dello sceneggiatore di turno, visto che non li scrivo certo tutti io) solo per un terzo: come la maggior parte dei fumetti, Dylan Dog è un’opera collettiva, e il merito va diviso in parti uguali tra lo sceneggiatore, il disegnatore e la redazione. Che nel dopobomba resti un albo di Dylan Dog mi pare quindi anche un omaggio e un ringraziamento a tutte queste persone… Poi, non oso dirlo, ma mi piacerebbe che si salvasse almeno un mio romanzo…»