La Stampa, 4 febbraio 2023
Verdone racconta Sergio Leone
Una volta, Carlo Verdone chiese a Sergio Leone chi fosse il più grande regista di western: «John Ford, Sam Peckinpah?». Lui lo guardò, fece una delle sue pause e disse: «Non hai capito un c…». Poi, dopo un altro silenzio: «Il più grande autore di western di tutti i tempi è… Omero». «Aveva ragione – riflette oggi Verdone – l’Iliade è tutta un duello».
Verdone è uno dei notevolissimi registi che partecipano al racconto di Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America, il documentario di Francesco Zippel da oggi su Sky, dopo l’anteprima assoluta alla Mostra del cinema di Venezia e dopo aver vinto il Nastro d’argento come documentario dell’anno 2023. Gli altri registi che dicono la loro sull’illustre collega sono Clint Eastwood, Steven Spielberg, Martin Scorsese, Quentin Tarantino, Jacques Audiard, Damien Chazelle, Darren Aronofsky, Giuseppe Tornatore, Dario Argento, Tsui Hark, Frank Miller. Tra gli attori, ci sono Jennifer Connelly, Robert De Niro e Eli Wallach.
Per Zippel, l’uscita televisiva del film, che intanto prosegue il viaggio di festival in festival (il prossimo è in Corea), segna la conclusione di un lavoro iniziato diversi anni fa, prima della Pandemia, spalla a spalla con Raffaella e Andrea Leone, i figli del Maestro. Racconta Zippel: «È incredibile la venerazione di cui è circondato Leone. Steven Spielberg prima di fare l’intervista con noi si è rivisto tutti i film e ha voluto a tutti costi parlare via Zoom con Martin Scorsese e con Clint Eastwood».
«Fon-da-men-ta-le»: Carlo Verdone scandisce l’aggettivo con cui definisce il peso che Sergio Leone ha avuto per lui. Leone ha prodotto per lui Un sacco bello e Bianco Rosso e Verdone, usciti nei primi anni 80, ma c’è di più. «Ero il suo primo spettatore ogni volta che usciva un film – ricorda – quel suo modo di girare, quel ritmo assai lento – avanguardia pura, allora – che diventava improvvisamente nevrastenico, le musiche di Morricone e gli effetti sonori, il vento nel deserto che solleva la polvere. E quelle facce di attori, perfette come in un teatro dei pupi. Avevo visto tutti i western, ma quelli di Leone erano diversi da tutto: gioia degli occhi e stupore continuo».
Quando Verdone incontrò davvero Leone, il sogno del cinema sembrava destinato a rimanere tale: «Facevo spettacoli di cabaret underground perché mia madre aveva insistito, lì mi notarono Enzo Trapani e Bruno Voglino e finii alla Rai, a Non Stop. Alla terza puntata, mi chiamò Sergio Leone». È il 1977, Verdone ha 27 anni, Leone una ventina di più. «Si procurò il mio numero, mi convocò a casa sua, all’Eur, e mi ricevette con una camicione mediorientale. Stava alla scrivania, mi sedetti di fronte a lui e cominciò una specie di duello, sembrava di essere in un suo film: per un minuto e mezzo mi guardò, non disse niente, e io neppure, finché gli chiesi di andare in bagno. Poi parlammo, lui mi propose di fare un film. Io avevo già rifiutato otto proposte, ma come facevo a dire di no a Sergio Leone? Mi spiegò che la sceneggiatura è un’arte che va imparata, mi fece incontrare Ruggero Maccari, Lina Wertmuller, perfino Gigi Magni. Finché arrivarono Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, che sono stati la soluzione. Del film e della mia vita. Sergio poi come produttore mi ha dato il massimo dei massimi, Ennio Morricone come compositore, Carlo Simi come scenografo, Ennio Guarnieri come direttore della scenografia. E mi ha seguito passo passo».
Nella realtà, e pure nel documentario di Zippel, Verdone parla di Leone come collaboratore ma anche come fan, spettatore appassionato dei suoi film. Che sono pochi, solo sette quelli diretti: Il colosso di Rodi, Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono il brutto il cattivo, C’era una volta il West, Giù la testa, C’era una volta in America. Ciascun leoniano ha un titolo del cuore, pur amandoli evidentemente tutti, tanto è impresso in ogni titolo il marchio di una personalità unica e inconfondibile. Verdone si era dichiarato, tempo fa, dalla parte di Per un pugno di dollari: «Sì – concede – quel film mi ha divertito tanto. Però oggi dico Il buono il brutto il cattivo, un film in cui è tutto giusto, le facce, le musiche, gli attori, Clint Eastwood è perfetto, Eli Wallach grandissimo in una sceneggiatura meravigliosa in cui succede sempre qualcosa. È uno di quei film che speri non finiscano mai».
Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America racconta l’avventura del Maestro in tutta la sua ampiezza, mettendo in luce senza enfasi ma con precisione il valore politico delle scelte artistiche, la freschezza dei suoi film epici, nostri contemporanei forse perché senza tempo, l’importanza che hanno avuto per molti altri registi, anche grandi. Con le animazioni del Simon Weisse Atelier – i miniaturisti di Wes Anderson, delle sorelle Wachowski e di Spielberg – a fare da raccordo, è all’altezza dell’uomo che racconta. Non era facile