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 2023  febbraio 04 Sabato calendario

Intervista a Alicia Giménez-Bartlett

Alicia Giménez-Bartlett ha avuto un problema scrivendo il suo ultimo romanzo: la realtà alla quale si è ispirata supera di tanto ogni fantasia. La Presidente («so che la vostra premier Meloni si fa chiamare "il presidente" ma non è un libro su di lei», scherza) è ambientato a Valencia negli anni della corruzione della destra spagnola.
È storia di qualche anno fa e ne succedevano di ogni: tangenti sul circuito della Formula 1, sui moli della Coppa America di vela e persino sugli schermi della visita di Papa Benedetto XVI. Le pagine dei giornali erano pura letteratura, spuntavano amanti, sacchi di denaro, persino un funzionario corrotto diventato un hippie, «ho dovuto togliere dalla trama alcune cose perché temevo che il lettore potesse pensare che avevo esagerato con la fiction». Tra queste figure della commedia umana valenciana spiccava Rita Barberá, l’ex sindaca, potentissima, sgraziata, ultra conservatrice, e al centro di decine di casi di corruzione. La sua morte in un hotel di Madrid è il caso al centro de La presidente (Sellerio). Il nome utilizzato nel romanzo è leggermente diverso, Vita Castellá, e la sua carica anche, «presidente della Generalitat valenciana», ovvero la Regione. Ma per il resto è sicuramente lei.
A indagare sulla sua morte stavolta non c’è l’ispettrice Petra Delicado, ma due giovani poliziotte, le sorelle Miralles. Dalla sua casa di Vinaròs, ai confini con la Catalogna, Giménez-Bartlett vuole rassicurare i suoi tanti lettori italiani, «non ho divorziato da Petra Delicado. L’ispettrice tornerà molto presto. Occupa tutte le mie giornate».
Perché un fenomeno di corruzione locale diventa letteratura?
«La fiction a volte spiega meglio la realtà che un saggio o un articolo di giornale. Ho pensato che ambientare un romanzo nella Valencia della corruzione fosse un modo per far comprendere fino a che punto si è esteso questo fenomeno, non solo nel tempo, ma anche nella profondità».
Perché si è messa a scrivere di cose così attuali?
«Il giallo nella mia visione deve riflettere i tempi nei quali viviamo. Non mi piacciono i romanzi gialli storici o quelli troppo immaginativi. Ho pensato che fosse il caso di occuparsi di cose attuali, che troviamo tutti i giorni sui giornali».
Il potere la affascina?
«Mi affascina il fatto che ci sia qualcuno affascinato dal potere. Vita Castellá, la protagonista, esattamente come Rita Barberá, il suo alter ego reale, ha consentito che sorgesse una rete di corruzione enorme, ma nessuno ha dimostrato che si fosse arricchita personalmente. Lo faceva per restare aggrappata al potere e il fatto che qualcuno possa arrivare a tanto per mantenere una cosa scomoda e faticosa come il potere mi incuriosisce».
La società spagnola ha reagito a questi scandali?
«Non subito. Tutti sapevano cosa faceva il Partito popolare in questa regione, ma era una questione della quale si parlava sottovoce e gli elettori potevano far finta di niente, continuando a votare per queste persone. Ma con le inchieste giudiziarie non è stato più possibile negarlo e a quel punto sì che c’è stata una reazione».
Toccando da vicino questi temi ha subito pressioni?
«Mi aspettavo minacce telefoniche, lettere minatorie o magari qualche querela. E invece nessuno si è occupato di me, sono molto delusa!».
Gli avvocati della casa editrice non hanno obiettato niente?
«L’ufficio legale che legge il libro prima della pubblicazione e ne determina i possibili rischi, mi ha fatto cambiare una cosa piccolissima. Poi mi hanno chiesto di rimuovere un dettaglio ancora più irrilevante, ma in questo caso ho detto di no».
Cosa?
«Nella prima pagina del libro descrivo la scena del crimine parlando di "una balena arenata"". Gli avvocati dicevano che i parenti della sindaca si sarebbero offesi, ma io mi sono rifiutata. Allora mi hanno costretto ad aggiungere, "una balena arenata, uno splendido animale". L’ho fatto, ma nessun investigatore parla così».
La presidente è una parodia del potere?
«Senza dubbio, al tono umoristico tengo molto. Nessuno può pensare che nella vita reale due ispettrici riescano a mandare in crisi tutti vertici della polizia. Però il tono umoristico e parodistico mi ha consentito che fosse verosimile».
Le due detective rappresentano una novità all’interno della polizia?
«Assolutamente sì. Ho dei consulenti nella polizia secondo i quali le nuove poliziotte sono esattamente così: si fiondano sul lavoro, non hanno paura di niente. Vedi queste ragazze esili e piccole che poi nelle indagini sono delle furie. C’è stato un cambiamento sostanziale».
Le donne stanno cambiando la polizia?
«Senza dubbio. Una volta mi hanno invitato alla cerimonia di fine corso dell’accademia di polizia e sono rimasta sorpresa dal numero di donne presenti. Impressionante. Ai tempi di Petra Delicado le donne nell’Accademia erano 9, ora sono tremila. E queste ragazze cambieranno necessariamente la polizia e la sua cultura maschilista».
Il discorso può essere esteso al resto di settori dello Stato spagnolo, la politica, la magistratura, la diplomazia?
«Sì, è il cambiamento più straordinaria che si è visto dal ritorno della democrazia in Spagna. L’influenza delle donne e la loro presenza a tutti i livelli stanno stravolgendo il volto del Paese. Le donne stanno cambiando la Spagna».
E non ci sono state resistenze? Nel romanzo c’è un giudice che pensa che si stia esagerando, ci sono donne da tutte parti...
«Effettivamente lo pensa, ma non osa dirlo. Ci sono molti uomini che sono d’accordo con lui, ma guai a parlarne in pubblico, è considerata una specie di maledizione».
C’è ancora strada da fare?
«Certo. Il fatto che per insabbiare il caso i capi della polizia affidino le indagini a due donne pensando che siano incapaci dimostra che ci sono ancora passi da compiere».
Rassicuriamo i lettori: Petra Delicado tornerà?
«Certo, non possiamo divorziare. Anzi, occupa tutte le mie giornate, visto che uscirà un nuovo romanzo quest’anno».
Il suo rapporto con l’Italia resta forte?
«Le basti sapere che ci sono romanzi che hanno venduto più in Italia che in Spagna. È il Paese dove mi amano di più».
Come se lo spiega?
«Non lo so. Forse abbiamo un senso dell’ironia simile. In realtà spagnoli e italiani si assomigliano meno di quello che si pensa».
In cosa siamo diversi?
«La Spagna ha avuto una dominazione araba durata molti secoli. E qualche cosa di quel passato è rimasto: la paura del ridicolo, l’orgoglio, a volte la violenza. In Italia il dialogo è più facile».
Le manca Camilleri?
«Abbiamo avuto uno strano rapporto. Non ci siamo mai visti, ma lui una volta disse: "Le scrittrici donne non hanno senso dell’umorismo, l’unica eccezione è Alicia Giménez-Bartlett". Antonio Sellerio, il nostro editore, mi mandò quella dichiarazione e io risposi: "Andrea tu sei un po’ maschilista". Lui morì dalle risate. Era un gran seduttore».