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 2023  febbraio 04 Sabato calendario

Egonu accusa l’Italia di razzismo

La schiacciata sposta l’aria e scansa ogni possibile difesa: «So che se mio figlio sarà di pelle nera vivrà tutto lo schifo che ho vissuto io. Se dovesse essere di pelle mista, peggio ancora. Vale la pena far nascere un bambino e condannarlo all’infelicità?». Parole di Paola Egonu in una intervista a «Vanity Fair», frasi severe ed esauste di una delle pallavoliste più forti al mondo, uno degli spiriti più indipendenti di Italia, una delle quattro donne chiamate a condurre una serata di Sanremo 2023.È un colpo che è meglio lasciar cadere per terra: non si può schivare, non si può evitare, forse è inutile pure tentare di respingerlo, di sicuro è meglio lasciarlo posare, sentire lo schiocco violento quando tocca il suolo. Dargli il tempo di esaurire il rimbombo. Sarebbe stupido lasciare che il tiro schizzasse via, non è una palla impazzita, è un preciso attacco, calibrato, mirato e va raccolto, capito, rimesso in gioco. Egonu dice spesso che ogni sfogo le torna contro eppure non li può trattenere. Questione di carattere, certo: è determinata, nervosa, convinta dei propri diritti, pessimista, si porta addosso un fastidio cresciuto insieme con lei. Lo porta sulla pelle, lo mostra per la pelle che altri fissano e classificano e annusano e giudicano come fosse un parametro di valore. Abbastanza per non stare zitta anche se parlare poi vuol dire pure generalizzare. Non c’è solo questo, c’è l’esperienza di una donna nata e cresciuta in Italia, con genitori nigeriani che a un certo punto si sono trasferiti in Inghilterra. Lei è rimasta qui, a casa sua, e quando è arrivata a oltre un metro e novanta centimetri di talento si è infilata la maglia azzurra e ha cercato di vincerci il più possibile. Niente è stato abbastanza. Non per i troppi che hanno continuato a storcere il naso, non per lei che non è riuscita a nutrirsi dei successi perché si è abituata a farsi andare la vita di traverso. A volte è più semplice che riuscire a digerirla, peccato che la reazione a un certo punto diventi automatica, come un disturbo alimentare: un rigetto sociale.Il razzismo le è chiaro e comprensibilmente si indispettisce quando le si chiede se passa, se le nuove generazioni migliorano. Lei ha troppi ricordi che ancora stomacano: da bambina, quando ridere bastava per finire in castigo e si ritrovava senza nemmeno il permesso di andare in bagno. O da ragazza, vicino alla madre lasciata fuori da una banca. E sguardi ossessivi e smorfie incomprensibili e dubbi che hanno l’hanno portata a chiedersi se fosse attraente: «Lo standard di bellezza presupponeva l’essere bianca. Io ero sempre la più alta, nera, con questi ricci che odiavo». Capita di vedere Paola Egonu come la vedremo al teatro Ariston, come è stata a sfilate, ospitate e feste. Capita anche, più spesso, di trovarla a camminare in un posto qualsiasi, tipo il seminterrato della stazione centrale di Milano, tra i negozi in franchising, con i leggins anonimi, le ciabatte da piscina, le mani affondate nelle tasche della felpa tirata verso il basso, i capelli corti e lo sguardo indifferente. L’espressione di chi si aspetta di essere considerata fuori taglia, battezzata fuori posto.Può darsi che Egonu riporti il Festival in parlamento. Dopo la tirata contro l’amore fluido, si rischia il bis contro il presunto vittimismo: ovviamente c’è il partito di chi interpreta così le ultime amarissime considerazioni. Liberi di vederla in questo modo, dopo aver considerato, però, che un gran numero di persone, si identificano, si sentono rappresentate e forse è su questa parola che Egonu azzarda di più. Dice: «Non ho il tempo per godermi un trionfo che arriva la sfida successiva: dopo lo scudetto c’è la Champions, e l’Europeo, le Olimpiadi. Allora succede che qualcuno dice la frase sbagliata e io mi domando: perché mai dovrei rappresentare voi?». La risposta è semplice, questo fa una italiana fuori dal comune con doti straordinarie, emoziona un Paese intero, lo trascina, lo eleva, lo porta in mezzo al mondo, a superare sfide, a prendersi delle soddisfazioni. Ogni singolo campione o campionessa in azzurro potrebbe fare l’elenco dei maltrattamenti. Essere la faccia di molti porta a facili malintesi, è facile venire manipolati, scambiati per robot senza il diritto alla scivolata, alla partita spenta, alla gara sottotono. Noi tifosi siamo imperfetti e nemmeno aspiriamo a una passione senza ombre, esibiamo i limiti, convinti che lo sport ci strappi ai nostri guai, ci porti altrove. Quindi signora Egonu continui pure a sfogarsi, ci sta, e non smetta di chiedersi perché rappresentarci. Siamo come lei, italiani e italiane con il passato ingombrante e le giornate da dimenticare, solo che non sappiamo giocare così.