la Repubblica, 4 febbraio 2023
Intervista a Manuel Agnelli
Torna a Sanremo, che è sempre di più il luogo dove si incrociano destini e storie della canzone, per duettare con gIANMARIA nella serata del venerdì, la più amata dagli italiani, quando cover e ospiti accenderanno i fuochi d’artificio dell’immaginario della canzone. Manuel Agnelli, purissimo rocker, coach di alcune edizioni diX Factor , sta interpretando la sua maturità anche attraverso il dialogo con la nuova scena: «Diciamo che faccio da nave scuola», ghigna da cattivo maestro, in realtà un buonissimo maestro, «ma la verità è che ho sempre pensato alla collaborazione come uno stimolo, l’ho imparato dalla controcultura: raccontare le cose, trasmettere una esperienza».
Quindi è un’attitudine antica?
«In passato ho organizzato tante cose come il festival Tora Tora, ho prodotto una ventina dischi, Cristina Donà, Verdena, ce l’ho nel Dna, mi piace lavorare con quelli che hanno talento, poi sono diventato anziano e sembro quello che lavora coi giovani ma è ovvio che sia più sensato. A quelli della mia età cosa gli devo dire? I ragazzi cerco di aiutarli a non ripetere gli errori che ho fatto. Vivono in una bolla, pensano che ci sia un unico modo e cerco di fargli vedere altre cose».
Sembrerebbe che oggi, dopo decenni di mescolamenti, si sia di nuovo prodotto un gap generazionale: adulti che capiscono poco i figli, figli che parlano una lingua strana…
«È vero, ma è colpa dei grandi. Quelli che vogliono essere giovani per sempre sono patetici, io sono me stesso e orgoglioso di esserlo, anche esteticamente. Forse per questo riesco a stabilire un rapporto di fiducia: non tento di essere loro, mi metto al servizio. Finalmente c’è una rottura tra generazioni, alcune cose sono andate perdute ma tra queste anche alcune cattive, tanto vale surfare su questa realtà piuttosto che razionalizzarla».
È tutto così meravigliosamente positivo?
«Certo che no, c’è una tendenza al gigantismo, stadi, arene, milioni di streaming: è il male vero perché l’unica cosa che la gente capisce sono i numeri. Non siamo riusciti a spiegare che le cose sono importanti anche se non funzionano, se fanno numeri bassi. Internet crea due gigantesche illusioni, la prima è quella di partecipare alla vita democratica con un clic, ma non è vero. La seconda è che puoi arrivare atutto, quindi non cerchi niente e questo uccide la curiosità che è la molla fondamentale».
È come una simbolica, edipica uccisione dei padri…
«Ma sì, i nuovi musicisti non vogliono parlare a noi, vogliono parlare ai propri simili, non gliene frega di rispettare le regole fissate da noi. Come successe col punk, in nome della libertà di espressione. È quello che speravo accadesse con la trap, non sapevano suonare, cantare, brutti, drogati, esattamente quello che si diceva del punk. Quando ho sentito il primo pezzo di Young Signorino ho detto: disgustoso, finalmente! Poi il mercato ha assorbito tutto, pure loro vanno avanti a medaglioni e macchine e gare a chi fa più streaming».
A chi si è affezionato di più in questi anni?
«I Måneskin, ovviamente. Per il resto, a tanti di quelli con cui ho lavorato. Su YouTube ho visto un programma della Bbc del 1979, Jukebox, una cagata pazzesca dove ascoltano in diretta i dischi e alla fine la giuria decide se sarà un successo o un flop. In questa giuria c’era Johnny Rotten appena uscito dai Sex Pistols, e faceva se stesso. Io ho fatto così, quando facevo le scelte ci credevo».
A Sanremo duetterà con un giovane che non era nella sua squadra.
«Era nella squadra di Emma ma ne parlavo sempre bene perché mi sembrava uno dei pochi che capiva quello che stava cantando. Quando il suo producer mi ha detto che voleva fare Quello che non c’è, ho pensato: fantastico, un pezzo che ha la sua età, scuro, una scelta coraggiosa. Una mia canzone cantata da un ragazzo di vent’anni è il massimo».
Scavalcando ogni edipico ostacolo, ha finito per duettare con sua figlia…
«È avvenuto per caso, le ho chiesto un consiglio, volevo una voce femminile in grado di cantare soul punk e lei ha detto ci sono io. Non l’ho detto subito perché non sopportavo la manfrina papà e figlia. È il mio singolo passato di più in radio nella mia vita, in classifica da tre mesi. C’è stato un punto di contatto tra generazioni, nel modo più naturale possibile».