la Repubblica, 4 febbraio 2023
Un casinò a New York?
Se New York avesse un casinò sarebbe una piccola Las Vegas? Lo scopriremo se e quando verrà concessa la prima licenza. È l’ultima battaglia identitaria di una città che cambia sotto gli occhi di chi la vive. Dopo la gentrificazione e la disneyficazione, se arrivano anche roulette e black jack, davvero rien ne va plus.Si scontrano due visioni opposte. Per la prima vale il vecchio motto: «Dove cresce l’azzardo, guadagna l’America». Per la seconda New York non può giocarsi anche l’anima, volendo farlo basta proseguire fino ad Atlantic City. I permessi in ballo sono tre, anche se due andranno probabilmente fuori dai 5 quartieri principali, là dove già sorgono i cosiddetti “racino”, una combinazione di ippodromo (race track) e casinò (ma ora limitati a slot machine e tabelloni digitali). Partecipare al bando è già una scommessa: richiede una “puntata” da un milione di dollari, che possono diventare 500 all’eventuale assegnazione. Abitanti e turisti copriranno il rischio? Tutte le previsioni rispondono sì.
Il via libera fu dato nel 2013, alla fine della recessione innescata dalla crisi dei mutui subprime. Il passo successivo dovrebbe essere compiuto quest’anno, al termine della pandemia da coronavirus o della sua percezione come pericolo grave (almeno per l’economia).
La permissività come forma di ristoro è un usurato stratagemma a cui i legislatori ricorrono volentieri e pigramente per compiacere categorie che hanno subito, o lamentano, perdite economiche. Il casinò di New York attrae le imprese che lo costruiranno, lo gestiranno e chi profitterà dell’indotto. A spingere più di tutti è il sindacato dei lavoratori alberghieri, finanziatore del partito democratico che governa la città. Ecco allora i progetti, messi sul tavolo come fiches. Quello di Brooklyn, inevitabilmente situato a Coney Island, tra spiaggia e luna park, ha poche probabilità e minore impatto. La zona è popolare, russificata nei giorni feriali, feudo latino nei fine settimana. La vera sfida è la final four di Manhattan.
Il primo e più scontato insediamento sarebbe a Times Square. Si confonderebbe tra le insegne luminose, le quotazioni finanziarie, i cartelloni di Broadway. Sorgerebbe infatti al 1515 della “Grande strada bianca”, in cima al palazzo da 54 piani che già ospita un impero televisivo e il teatro dove va in scena il Re Leone. Una soluzione mimetica, ma forse la goccia che farebbe traboccare il vaso già strapieno di quella zona. Negli Anni Novanta, quelli del sindaco Giuliani, venne ridisegnata a colori, cacciando il malaffare con il rincaro degli affitti, i cartoni animati e la presenza costante della polizia. E ora? Cambisti nella penombra e banchi dei pegni?
La seconda proposta sarebbe ad Hudson Yards, il nuovo polo del lusso e dell’intrattenimento. Già il suo simbolo, l’elaborato Vessel, è stato chiuso dopo una serie di suicidi dalla sua sommità. La vicinanza tra il fiume e la possibile rovina al gioco non sembra l’idea migliore. La terza allora: gli ultimi piani dei grandi magazzini Saks, sulla Quinta Strada, a pochi passi da Central Park. Saloni ovattati, ascensori dedicati che frusciando salgono oltre ogni concreta offerta merceologica per proporre l’astratta fortuna. Montecarlo in the sky, ma insufficiente a placare ogni appetito. Ecco allora la quarta e favorita tra le soluzioni: un lotto di terreno inutilizzato sulla Prima Strada, vicino al palazzo di vetro dell’Onu. Un progetto enorme che farebbe crescere dal nulla alberghi, giardini pensili e una grande ruota panoramica, simbolo della trasformazione. New York è tutto e il suo contrario, ma può essere anche questo?
I casinò qui sono esistiti, ma illegalmente, al tempo delle fumerie d’oppio nei retrobottega e delle sale scommesse nei seminterrati. Il più famoso venne inaugurato nel 1891, al civico 33 della 33ma (da giocarsi subito il numero alla roulette). Era la Casa con la porta di bronzo. Prendeva il nome dall’uscio maestoso, realizzato in Italia nel quindicesimo secolo. Costo (trasporto incluso): 20mila dollari dell’epoca. All’interno ne circolavano molti di più ogni sera. E la polizia? Non varcava mai quella soglia così sfacciata? Il proprietario, Frank Farrell, aveva un socio, William Devery, che della polizia era stato a capo. Insieme aprirono oltre 200 bische clandestine e comprarono una squadra di baseball di Baltimora (gli Orioles), trasportandola e ribattezzandola, prima Highlanders, poi New York Yankees. Crearono una leggenda, ma vinsero di rado: la sorte stava girando. Nel 1908 gli agenti sfondarono la porta di bronzo per una retata. Molti clienti fuggirono attraverso un corridoio che comunicava con l’anonimo edificio a fianco.
Chi avesse potuto proseguire attraverso un tunnel nel tempo si troverebbe a risbucare, oltre un secolo dopo, in questa irriconoscibile città, tra diplomatici, principesse dello shopping, turisti dirottati. Si dice che “quel che accade a Vegas, resta a Vegas”. Stavolta, invece, vorrebbero portarlo a New York.