la Repubblica, 4 febbraio 2023
Biografia di Jafar Panahi
Da quando gli è stato vietato il cinema, considerato sovversivo dal regime iraniano, Jafar Panahi è riuscito girare nove film “clandestini”. Usando attrezzature semplici e mettendo in scena sé stesso, accompagnato da attori non professionisti. Tutte le opere hanno avuto spazio e premi ai festival, che spesso hanno riservato un posto vuoto per l’artista, considerato uno dei maggiori esponenti del cinema iraniano dagli anni Novanta. Si mobilitano tantissimi registi in appelli per la sua libertà artistica e fisica sempre più intermittente. Tra loro Scorsese, Spielberg, Coppola, Stone, Malick, Soderbergh, Dardenne.L’ultimo film No Bears – Gli Orsi non esistono, è uno dei più belli dell’anno, il migliore della scorsa Mostra di Venezia, che gli ha consegnato il Premio speciale della giuria e un flash mob con Julianne Moore e altri artisti sul tappeto rosso con la sua foto, mentre il Bif&st di Bari, dal 24 marzo, lo ha scelto come presidente onorario. La storia diGli orsi non esistono è ambientata nel paesino ai confini tra Turchia e Iran dove Panahi, 62 anni, ai domiciliari, si è rifugiato cercando di aggirare la condanna, dirigendo il set da remoto, collegato tramite il pc con operatore e attori. La sua storia s’intreccia con quella di due coppie in cerca di libertà, commette l’errore di fotografarne una, che diventa prova di un tradimento alla comunità, che lo sorveglia. Il titolo del film – che è ancora programmato in poche sale in Italia ed è assolutamente da non perdere – si riferisce alla leggenda locale sui rischi per chi si allontana dal villaggio e dalle tradizioni arcaiche. In un cinema ormai inscindibile dal vissuto del suo autore, s’affacciano piccoli momenti gioiosi, pure immersi in un racconto che restituisce il paesaggio tragico di un Paese senza libertà, sotto il giogo di un regime ottuso. Quella di Pahani è una meta- narrazione – intorno alla propriacondizione di condannato e carcerato – che appartiene al cinema iraniano, da subito dopo la rivoluzione islamica del 1979, guidata da Abbas Kiarostami e proseguita dal suo ex assistente Panahi: in Lo specchio(1997), l’attrice bambina dice «non recito più» e si toglie il velo.Nato a Mianeh, Azarbaijan orientale, a dieci anni Jafar ha scoperto la vocazione per la scrittura – vince un premio – e nello stesso periodo prende confidenza con la fotografia e il cinema, gira i primi filmini in 8mm. Costretto più avanti al servizio militare, ne approfitta per realizzare documentari e, dopo aver studiato regia all’Università di Teheran, incontra il maestro e poi sodale Kiarostami. Il primo successo lo firma nel ’95, con Il palloncino bianco, la critica internazionale applaude la naturalezza degli attori presi dalla strada, le lunghe sequenze e la allegorica semplicità. Con Il cerchio,premiato con il Leone d’oro nel 2000, Panahi entra nell’universo femminile attraverso otto donne protagoniste di altrettante storie di sopravvivenza quotidiana, esistenze marginali in una società rigida e patriarcale che continua a girare su sé stessa. E già inOffside, nel 2006, racconta la nuova generazione relegata ai margini della società, le ragazze che vorrebbero seguire la partita di qualificazione ai Mondiali in uno stadio di Teheran e che aggirano le proibizioni con travestimenti e imbrogli, ispirati dalla vera figlia del regista. A Panahi è stato tolto il diritto di parola, vietate le interviste. Ma il suo pensiero lo troviamo scritto nella difesa processuale: «Se queste accuse sono vere voi non state mettendo sotto accusa solo noi, ma il cinema iraniano socialmente impegnato, umanistico e artistico, che prova a stare aldilà del bene e del male, che non giudica, né si arrende al potere o ai soldi, ma prova a riflettere onestamente un’immagine realistica della società».