Corriere della Sera, 4 febbraio 2023
Aneddoti, racconti, lettere di Carlo Maria Martini
«Ciò che maggiormente mi faceva soffrire era una specie di assioma, un dogma, che sembrava separare la preghiera e la conoscenza della Scrittura dall’interesse per i poveri e l’impegno sociale e politico. Sembrava quasi che le due cose fossero contrapposte e che fosse meglio abbandonare la preghiera e la contemplazione per darsi all’impegno per i poveri». Roma, primi anni Settanta. Nella temperie seguita al Concilio ci sono «preti operai» che vanno a vivere tra i baraccati. E poi c’è un gesuita quarantenne che all’apparente distacco sabaudo unisce una timidezza congenita, docente di Sacra scrittura e rettore del Pontificio istituto biblico, coltissimo e già celebre tra gli studiosi ma ancora ignoto ai più. Pochi anni dopo, già rettore della Gregoriana, ci sarebbe voluto Giovanni Paolo II per tirarlo «fuori dalle aule universitarie», come si è sempre detto, e mandarlo come arcivescovo a Milano: il cardinale Carlo Maria Martini sarebbe diventato una delle voci più ascoltate, lette e influenti al mondo, non solo nella Chiesa cattolica. E oggi può sorprendere l’immagine di padre Martini impegnato a spingere una Cinquecento rimasta senza benzina sulla Casilina («la prossima volta andiamo con la mia macchina»), visitare anziani soli a Trastevere o dire messa nelle periferie dove la gente per andare in centro diceva «vado a Roma», una cappellina a Primavalle, il salone di una ex pizzeria all’Alessandrino adattato a sede di quartiere della Comunità di Sant’Egidio.
È un Martini inedito quello che Roberto Zuccolini, dal 2014 portavoce di Sant’Egidio e per oltre trent’anni giornalista del Corriere, racconta nel libro La Parola e i poveri (Ed. San Paolo), e inediti sono le testimonianze e molti degli interventi pubblicati, lettere e omelie del biblista gesuita raccolti nel corso della lunga «storia di amicizia cristiana» con la comunità nata nel ’68 dall’intuizione di un ragazzo del liceo Virgilio che si riuniva con altri studenti per «riflettere sul Vangelo» e aveva cominciato a lavorare tra i poveri delle periferie. È lo stesso fondatore, Andrea Riccardi, a descrivere nella prefazione la figura di quell’uomo che «chiedeva molto e amava ascoltare». È alla luce di quel primo incontro che Zuccolini narra la vicenda storica del cardinale, fino alla morte del 2012: la capacità di ascolto, quel «pensare in modo biblico» che libera dai «paraocchi» e consente di «cogliere l’ampiezza della visione di Dio», diceva Martini. Di qui la capacità di anticipare innumerevoli temi prima che divenissero d’attualità, dal confronto e dialogo con l’Islam alla globalizzazione, dalle migrazioni alla guerra. Restando «sempre fedele e rispettoso del Papa che lo aveva nominato» anche se talvolta la pensava diversamente, ricorda Riccardi: «Si tratta di una grande lezione in questo tempo in cui c’è sì un dibattito aperto, ma al contempo si assiste a uno scadimento del dialogo nella Chiesa, fino al pullulare di fake news o di attacchi velenosi sui social».