Corriere della Sera, 4 febbraio 2023
Il grande gioco Usa-Cina
Antony Blinken sarebbe stato il primo segretario di Stato ricevuto da Xi Jinping da ben cinque anni, l’ultimo fu Rex Tillerson nel 2017 quando c’era Donald Trump alla Casa Bianca. La decisione di rimandare quella visita ufficiale a Pechino conferma il gelo improvviso, per la crisi del pallone-spia cinese sui cieli d’America. Quasi a voler rievocare la vicenda di un aereo-spia americano abbattuto dai sovietici nel 1960, alla vigilia di un importante summit bilaterale Usa-Urss.
Questo incidente di percorso interviene proprio quando Biden e Xi tentano di stabilire delle regole del gioco, perché il loro antagonismo rimanga entro limiti controllabili. Pesa anche la politica interna: la nuova maggioranza repubblicana alla Camera di Washington. Alcuni repubblicani avrebbero voluto che il pallone-spia venisse abbattuto dai caccia della U.S. Air Force, ripetendo «alla rovescia» proprio lo scenario del 1960: l’U2 americano allora fu colpito da un missile e il pilota fu catturato dai sovietici.
La storia del pallone-spia è un infortunio per i cinesi. La vecchia regola è che tutti spiano tutti, ma non bisogna farsi beccare in flagranza. Tanto più che, in questo caso, il gioco non vale la candela. Gli esperti di tecnologie militari sostengono che americani e cinesi dispongono di satelliti in grado di effettuare riprese di grande precisione, senza violare lo spazio aereo della nazione spiata. Il pallone è un mezzo rudimentale. Il Pentagono ha preferito non abbatterlo citando il rischio che i detriti colpissero qualcuno precipitando a terra.
Sullo sfondo c’è il Grande Gioco Usa-Cina che registra un’accelerazione in Asia, con le nuove basi militari americane nelle Filippine, ottenute per premunirsi nell’eventualità dell’invasione cinese di Taiwan. Lo spettro di una guerra per Taiwan fa da sfondo all’accordo importante che il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha concluso con il governo di Manila. Il presidente Ferdinand Marcos Jr. ha accettato di concedere al Pentagono l’uso di nove basi militari. Non ci sarà una presenza permanente di soldati americani – come accadeva nelle Filippine fino agli anni Novanta, in particolare nella celebre base di Subic Bay – però la U.S. Navy, la U.S. Air Force, l’esercito e i marines potranno usare queste basi per manovre militari congiunte con gli alleati, nonché per lasciarvi dei depositi permanenti di armi, pezzi di ricambio, munizioni, carburante. La logistica, è una lezione crudele del conflitto ucraino, ha sempre un’importanza enorme, e i Paesi occidentali sono vicini all’esaurimento di scorte strategiche nei loro arsenali. La logistica è il tallone d’Achille degli americani nello scenario della difesa di Taiwan da un’attacco cinese.
Le nuove basi nelle Filippine sono punti di appoggio preziosi nel Grande Gioco delle zone d’influenza nell’Indo-Pacifico, visto che alcune isole della costa settentrionale di questo arcipelago si trovano a sole cento miglia da Taiwan. Vanno a integrare un dispositivo di alleanze che si sta rafforzando fra Stati Uniti, Giappone, Australia, Corea del Sud, con la partecipazione del Regno Unito e l’aspirazione a coinvolgere l’India. Sull’accordo fra Stati Uniti e Filippine il linguaggio della diplomazia cinese è duro. L’amministrazione Biden è stata accusata dalla portavoce del ministero degli Esteri cinese di «mettere in pericolo la pace e la stabilità nella regione». Per Xi il ritorno delle Filippine nell’alveo delle alleanze americane è una sconfitta. L’autogol del pallone-spia gli crea imbarazzo, proprio quando voleva essere lui a mettere sulla difensiva gli americani per le azioni nell’Indo-Pacifico.