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 2023  febbraio 03 Venerdì calendario

A 19 anni anche Lodo Guenzi pensava di essere un fallito

«Non riesco a non pensare a quella ragazza di 19 anni che si è ammazzata nel bagno della sua università, lasciando scritto “nella vita ho fallito tutto”. E no, a 19 anni non hai fallito niente. Ma lo pensavo anche io a 19 anni».
È una vicenda che ha scosso tutti quella della studentessa che si è tolta la vita allo Iulm di Milano, trovata morta due giorni fa con una sciarpa intorno al collo. Una tragedia su cui Lodo Guenzi, cantante de Lo Stato Sociale, ha deciso di intervenire ieri con un post su Instagram, rievocando quando anche lui, per un attimo, ha pensato di mollare tutto, «ma ancora più forte di voler sparire». Nel suo ricordo personale, il musicista bolognese, 36 anni, ha scritto che faceva «600 chilometri a settimana per andare a farmi dire che non ce l’avrei fatta». Un riferimento al suo percorso universitario (è diplomato all’Accademia di Arte drammatica Nico Pepe di Udine) anche se, approfondisce al telefono, «il vero problema è il lavoro e non la scuola. Io ho fatto una cosa iper competitiva, un’Accademia in cui centinaia di persone si sono presentate ai provini e 6 su 13 si sono diplomate – spiega —. Gli unici amici che avevi erano potenzialmente anche i tuoi concorrenti e questo è complicato, alcuni hanno mollato o cambiato percorso. Ma è molto più pesante il desolante spettacolo che è il mondo del teatro per un giovane diplomato di 21 anni che cerca lavoro».
La mia prima ragazza di allora morì senza un perché mentre la seconda mi lasciò per la distanza
Guenzi non vuole dare giudizi né lanciarsi in colpevolizzazioni. Osserva invece che nei periodi di difficoltà entrano sempre in gioco tanti fattori, in un «incrocio infinito di cose». Nel post, infatti, ai suoi ostacoli accademici aggiunge quelli sentimentali: «La mia prima ragazza era morta senza un perché, e la seconda mi lasciava per la distanza», scrive su Instagram. «C’è stato un affetto della mia vita che ha avuto un mancamento improvviso e se n’è andata, non si è mai capito come mai, è stata una morte abbastanza misteriosa – racconta —. Io ero un po’ sconvolto e mi mancava la terra sotto i piedi». Un vuoto che, continua, «nel mio caso sarà durato due o tre settimane», sanato anche grazie a un incontro importante: «Credo che la morte sia un pezzo della vita e viceversa. Tutti noi formalizziamo pensieri anche estremi e rimuoverli è più pericoloso che parlarne. Io ho avuto un paio di fortune: in un paio di momenti di crisi ho incontrato dei maestri. In quel caso è stato il grande pedagogo russo Jurij Alschitz. Mi ha fatto ricominciare a credere che avessi qualcosa da dire».
Siamo bombardati dall’idea che chi si sacrifica e ha successo farà cose incredibili: retorica pericolosa
Tornando al caso della ragazza, Guenzi traccia un quadro più ampio: «Mi spaventa l’idea che si vada a puntare il dito verso i professori. Mio padre è prof, mia madre è giudice, fanno scelte che hanno conseguenze sulla vita delle persone. Sono più appassionato di letture sistemiche della società». Lo scenario è «inquietante», sostiene: «Siamo bombardati dall’idea che chi si sacrifica e ha successo farà cose incredibili, mentre gli altri si meritano di vivere malissimo. Una retorica pericolosa perché vivere una vita dignitosa dovrebbe essere un diritto di tutti e si dovrebbe poter essere felici anche senza fare cose grandiose». Allo stesso modo, bisogna concedersi di sbagliare, specie da ragazzi: «Il fallimento è un’occasione, uno strumento per capire la propria strada. Ma in questo scenario in cui fuori sopravvive solo il più forte, temo che la scuola diventi un antipasto in cui non si è più lucidi sui propri fallimenti».