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 2023  febbraio 03 Venerdì calendario

La terza vita di Draghi

Mario Draghi è ovunque e in nessun luogo. Succede così che alcuni funzionari del Comune di Milano, poche settimane fa, se lo vedano apparire in un supermercato poco lontano da Palazzo Marino, mentre fa la spesa. Avvistato e intravisto qua e là, l’ex presidente del Consiglio sembra candidarsi a circondare la sua vita di un mistero degno di quegli scrittori che alimentano il proprio mito nell’assenza. E nelle voci degli altri.
E allora, il senso da ricercare, per indagare più a fondo l’enigma Draghi, è lì, è nella volontà degli altri, nei desideri di chi vuole cucirgli addosso il ruolo che reputa perfetto per il suo futuro. O di chi invece ne difende l’immagine, ha il compito di smentire false piste, e lo tutela con un amore che a volte può toccare anche punte di adorazione. In questo gioco di sponde tra le fonti sta la ricerca sulla terza vita di Draghi – terza solo per sintesi giornalistica, sia inteso: dopo quella del banchiere centrale e quella del presidente del Consiglio.
È un puzzle, che si compone di tanti pezzi, che è difficile, a volte, incastrare tra di loro. Il primo pezzo è la sua risata. La conoscono bene i collaboratori storici e chi è stato con lui a Palazzo Chigi. La risata che è prima un sogghigno, poi un’esplosione di sincero divertimento, con cui reagisce quando sente delle fesserie sul suo conto. «Tutti che vogliono darmi un lavoro! Se ve lo chiedono, ribadite quanto ho già sostenuto più volte pubblicamente: un lavoro sono in grado di trovarmelo da solo».
In questi mesi l’ex presidente della Banca centrale europea si è preso una pausa e si è dato la regola di non partecipare a eventi pubblici. È bastato che spuntasse al funerale di papa Ratzinger, qualche minuto a parlare con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, per dare forza alla tesi che avrebbe dato lui la benedizione finale per il siluramento del direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera. Un retroscena che lo ha letteralmente fatto andare su tutte le furie e lo ha convinto a essere ancora più prudente, più schivo, a restare lontanissimo dai riflettori, che rischiano di bruciare perché ancora è caldo, per la premier Giorgia Meloni, il confronto con il suo governo. A Roma Draghi si fa vedere raramente. Nell’ufficio di Banca d’Italia, che gli spetta per diritto, da ex governatore, ci è passato poche volte. Preferisce la calma umbra di Città della Pieve. A novembre e dicembre è stato a lungo tra Londra e Milano, dove vivono il figlio e la figlia, e dove ha trascorso il tempo con i nipotini. Il nonno però resta, in qualche modo, «al servizio delle istituzioni», come disse di sé un mese prima che i partiti decidessero di troncargli di netto il sogno di salire al Quirinale. A quella delusione, nell’evento che ha segnato prima del tempo la fine del governo Draghi, si torna e si ritorna. Come un trauma. Rimane sullo sfondo, e là va tenuto, anche per comprendere tutto il resto, tutti i no, veri o presunti, che ha già detto l’ex premier.
Chi gli ha lavorato accanto sostiene che in qualche modo continuerà a dare un contributo. Faticano a immaginarselo inattivo, tra supermercati e giocattoli dei nipotini. Difficile che ripieghi solo nel conforto della vita privata, ma si sta anche già abituando al fatto che non potrà più immergersi nell’anonimato, come adorava fare dopo la Bce e prima di essere chiamato a Palazzo Chigi.
Ci prova, a non lasciare tracce. Uno spettro che si aggira tra i grandi economisti e i loro simposi. In incognito. Come al World Economic Forum di Davos, in Svizzera. Nessuna passerella, nessuna réclame. È stato Il Foglio a svelarlo, a dire che era lì, per una cena a porte chiuse organizzata dalla banca britannica Barclays. C’è rimasto una giornata e mezza. Tra amici banchieri e vecchie conoscenze della finanza. Qualcuno ha immaginato anche un incontro con Larry Fink, capo dell’americana BlackRock, una delle più grandi società di investimento del mondo, dirigente che conosce bene Draghi dai tempi della Bce. La circostanza di una chiacchierata a Davos tra i due è però smentita dallo staff dell’ex premier. A metà marzo – altro appuntamento per pochi tutto da confermare – Draghi è atteso a Parigi, a un evento organizzato da Bank of America. Ecco, altri indizi, altri pezzi del puzzle. Cercate il futuro dell’ex capo del governo nella sue rete – dicono di lui i collaboratori – nella cura dei suoi rapporti. Ma non chiamatelo conferenziere. Farà ancora lo speaker, quando gli andrà, selezionando tra i tantissimi inviti che gli arrivano da mesi. Nulla a che vedere con Boris Johnson, Tony Blair, Matteo Renzi e altri ex capi di governo che si reinventano a colpi di centinaia di migliaia di euro a conferenza.
Cosa sta facendo e cosa farà, l’ex presidente del Consiglio, 76 anni il prossimo 3 settembre, sono domande che sembrano interessare tanti, in Italia e fuori dall’Italia. Non lavorerà nel privato, non nel senso almeno di un ruolo più strutturale in una banca o in un fondo. L’anagrafe è un fattore da tenere in considerazione, per quanto sia sgraziato parlarne. Lo fa, senza problemi, chi ha una frequentazione più assidua con Draghi e di lui riporta una frase che gli hanno sentito ripetere spesso: «Non sono interessato a incarichi all’estero». Incarichi che comporterebbero viaggi continui e lunghe assenze da casa e dalla famiglia. Nel 2024 verranno scelti i nuovi capi delle istituzioni europee. Le alleanze si annunciano più complicate del solito, anche perché il gruppo dei conservatori, guidato da Meloni, punta a spezzare l’asse storico tra socialisti e popolari. Ursula Von der Leyen sta pensando di ricandidarsi alla presidenza della Commissione europea e a sfidarla potrebbe essere un’altra leader del Ppe, Roberta Metsola, attuale presidente del Parlamento europeo. Chi sognava Draghi in quel ruolo molto probabilmente rimarrà scontento. E va detto che l’ex premier sarebbe il primo a sfilarsi dai giochi politici che preparano le nomine. Il Consiglio europeo è l’altra casella in ballo. Una carica che è comunque impegnativa, ma meno pesante – anche fisicamente – della Commissione. E che in mano a un negoziatore duro come Draghi, indubbiamente capace di costruire alleanze a un tavolo di leader chiusi in una stanza, potrebbe ritornare a essere più incisiva di quanto lo sia stata con l’attuale e più impalpabile presidente Charles Michel. Anche tra i collaboratori che hanno l’ordine di negare un qualsiasi interessamento del banchiere, si ricorda la forza che diede al ruolo il polacco Donald Tusk. Potrebbero essere i francesi a spingere per Draghi. Potrebbe farlo Emmanuel Macron, se è vero come si sostiene in ambienti diplomatici, che al dunque, quando Renew Europe – il gruppo dei liberali che fa capo al presidente francese – si rivelerà l’ago della bilancia per la maggioranza a Bruxelles, sarà lui a chiamare «l’amico Mario» e a chiedergli se è disposto a guidare il Consiglio.
Negare, negare, negare. Questa è la risposta dell’entourage di Draghi. Quasi un dovere, più che un vezzo, per personalità di potere. E dopotutto, non fu così anche quando questo giornale scrisse della telefonata di Sergio Mattarella, due giorni prima che il banchiere fu convocato dal presidente della Repubblica come successore di Giuseppe Conte?
Tanto per dire l’ultima: il quotidiano tedesco Handelsblatt tre giorni fa sosteneva di aver appreso da fonti europee della probabile nomina di Draghi a inviato speciale dell’Ue per il Global Gateway, il progetto di 300 miliardi di euro, destinati a investimenti e infrastrutture, che nasce come risposta su scala globale alla sfida cinese della Nuova Via della Seta. L’ex capo del governo italiano sarebbe la prima scelta di Von der Leyen e avrebbe il via libera degli Stati Uniti. Ma c’è qualcosa di vero? Su mandato di Draghi, lo staff si è precipitato a smentire: «Non è interessato».
La risposta in sé è strettamente legata alla sua intima volontà, ovviamente non riguarda chi in teoria potrebbe comunque formulare una proposta, o lo ha già fatto. Magari da sponda tedesca, anche con l’obiettivo di contenere le influenze politiche dell’italiano, relegandolo a un ruolo non proprio di primissimo piano. Un discorso, in parte diverso, che vale pure per la Banca Mondiale. Altra smentita. Altra offerta, che pare abbia rifiutato diverse volte. Poi c’è la Nato. È stata una suggestione che mai ha davvero interessato Draghi, nonostante l’idillio con Washington. Un banchiere centrale prossimo segretario dell’Alleanza? Parlare di armi e guerra non fa per lui, raccontano. Che poi l’attuale segretario, il norvegese Jens Stoltenberg andrà a fare il banchiere, questa è un’altra storia.
Tra i dubbi, le rettifiche e le dissimulazioni delle diverse fonti dell’universo Draghi, si percepisce una sensazione di attesa, come un’ombra. Che svela quell’occasione perduta che forse non è perduta del tutto. Ogni indizio, ogni pezzo del puzzle, sembra portare ancora lì, sul colle del Quirinale. Non lontano da casa, al vertice delle istituzioni italiane. Non c’è niente che faccia pensare a un passo indietro di Mattarella, 82 anni a luglio. Ma siamo solo al primo anno del suo secondo mandato. Ed è uno scenario che, con tutto il rispetto dovuto al Capo dello Stato, tra i partiti non è considerato impossibile. Soprattutto tra chi, è il caso di Fratelli d’Italia, era una piccola pattuglia quando il Parlamento sbarrò a Draghi la strada verso il Colle, e ora è la forza che traina la maggioranza, e che vale più del doppio dei suoi alleati. Già un anno fa Meloni era pronta a sostenerlo. E, a sentire i suoi ministri più fidati, lo farebbe ancora, nonostante il suo predecessore a Palazzo Chigi sia una figura ingombrante. Ma lo farebbe per quei motivi che nel gennaio 2022 elencarono proprio gli analisti di Barclays e oggi ripetono imprenditori e finanzieri: sette anni di Draghi al Colle sarebbero un’assicurazione in grado di attirare investimenti dall’estero, una garanzia sulla collocazione italiana nelle alleanze globali, e uno scudo con l’Ue per la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’unico vero terreno su cui sarà misurata Meloni.
Alla fine, la terza vita di Draghi è ancora un’idea in lavorazione, una somma di offerte rifiutate, una possibilità in sottrazione. Il suo entourage, amici e confidenti, economisti, personalità politiche e diplomatiche partecipano alla costruzione di un’ipotesi come a una cena in cui tutti parlano dell’invitato di onore, ma lui ancora non è arrivato. E non è detto che arriver