La Stampa, 3 febbraio 2023
Nordio sotto assedio
ietro la vicenda Donzelli-Delmastro si consumano due scontri: a Palazzo Chigi e in via Arenula. C’è chi vorrebbe frenare, e persino censurare e chi invece rilanciare l’offensiva contro l’opposizione. Sullo sfondo c’è il fascicolo aperto dalla Procura di Roma. Ma la partita decisiva avviene all’interno del ministero della Giustizia. L’indagine interna decisa da Carlo Nordio era chiave per determinare il fatto se il deputato Giovanni Donzelli e il sottosegretario siano stati solo improvvidi nel divulgare le informazioni che arrivavano dal Dap, oppure se ci fosse qualcosa di più grave nella loro condotta. Alla fine Nordio ha optato per un’assoluzione, anche se non completa. Da via Arenula arrivano voci di un pressing fortissimo sul ministro per chiudere più in fretta possibile la vicenda. Al centro dei veleni di Fratelli d’Italia finisce il suo capo di gabinetto, Alberto Rizzo, convinto che l’operato del sottosegretario fosse censurabile.
PUBBLICITÀ
La notizia pubblicata da La Stampa, sul divieto di divulgazione del documento richiesto dal sottosegretario di FdI, ha costretto a un’accelerazione. Da Fratelli d’Italia erano sicuri che sarebbe stato lo stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a chiarire che il documento non aveva vincoli di divulgazione. E le spiegazioni che il ministero ha diffuso in serata soddisfano i due protagonisti che ora pretendono delle scuse. «La sinistra si vergogni», esulta il capogruppo alla Camera Tommaso Foti. E ora in via della Scrofa si attende un verdetto simile dal Giurì d’onore, che, a seguito del veto del partito della premier, non sarà presieduto dal forzista Giorgio Mulè, ma dal generale Sergio Costa del M5S.
L’altra partita si gioca all’interno del governo. A Palazzo Chigi, sin dalle prime ore dopo lo scoppio dello scandalo, ci sono due linee: da una parte il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano e dall’altra il sottosegretario per l’Attuazione del programma di governo Giovanbattista Fazzolari. Il primo si è infuriato per forma e contenuto dell’attacco di Donzelli all’opposizione. Mentre il secondo insiste nel far quadrato intorno ai compagni di partito e, anzi, è fautore di una linea dura. Basta leggere le dichiarazioni di ieri di Fazzolari, forse il più fidato consigliere di Meloni, per rendersene conto: «Stiamo assistendo a una preoccupante escalation. Anche frutto della poca fermezza con cui alcune forze politiche e parte della stampa hanno preso le distanze da questi criminali. Il Governo non si lascia intimidire e non cede alle richieste di trattativa Stato-terroristi anarchici che qualcuno auspica». Insomma, dal cuore di Palazzo Chigi si rilancia l’accusa al Partito democratico di aver di fatto da sponda alla criminalità organizzata. Ma qualche stanza più in là si esprimono molti dubbi: se si chiede all’opposizione di abbassare i toni, come ha fatto la stessa Meloni intervenendo in televisione la sera, non si può allo stesso tempo far passare il messaggio che dietro un ex ministro della Giustizia, come Andrea Orlando o la capogruppo del Pd alla Camera, Debora Serracchiani, stiano di fatto spalleggiando le richieste della mafia contro il carcere duro. La stessa Serracchiani, prima che arrivi il comunicato di via Arenula, tira in ballo Meloni: «Se quelle informazioni erano riservate e non divulgabili, se il ministro Nordio non revoca le deleghe, a quel punto il problema saranno Nordio e la Presidente del Consiglio, che deve prendere una posizione e dissociarsi da quello a cui abbiamo assistito».
PUBBLICITÀ
Effettivamente per tutta la giornata aleggiano le voci del ritiro delle deleghe che Delmastro ha sulle carceri. Meloni, però, non lo ha ritenuto opportuno e l’esito dell’indagine interna del ministero viene vissuta come una conferma del fatto che blindare i due fedelissimi sia stata una scelta corretta. La premier ancora una volta ha evitato di trattare il tema. Parlando, per la seconda sera di fila dagli schermi di Rete 4, sottolinea che Cospito: «Finisce al 41 bis perché durante la detenzione mandava o trovava il modo di fare arrivare messaggi agli anarchici». E poi c’è un episodio: «Nel 1991, già in carcere, Cospito decise di fare lo sciopero della fame e venne graziato. Lo Stato lo ha graziato ed è andato a sparare a della gente». E infine, la domanda retorica sugli attentati e le azioni intimidatorie avvenuti in varie città non solo italiane: «Lo Stato deve indietreggiare o no nel momento in cui è minacciato da gente che dice: “Se non togliete il 41 bis, se non togliete Cospito dal 41 bis noi vi facciamo saltare in aria?”», ha chiesto Meloni. «Facciamo chiarezza», insiste la premier. Ma non sul caso Donzelli.