Avvenire, 3 febbraio 2023
Gli anni 80 dell’Inter. Un libro
Nel tornare in quel territorio dove ogni cosa è illuminata, vale a dire il calcio degli anni 80 che per la generazione dei cinquantenni di oggi è il posto delle fragole, servono alcune cose, poche ma fondamentali. Una mappa sentimentale ben definita, innanzitutto. Dentro il cui reticolo di gol, partite, centravanti di sfondamento e mediani a sostegno di un ideale, corrisponde un abracadabra. E ancora è necessaria una passione che non sfocia mai nella glassa, ma anzi sappia accompagnare il viandante nel suo sentiero della nostalgia, intima e condivisa. È utile infine osservare il passato (specie nella settimana che porta al derby di domenica sera) in questione con lo sguardo celeste del bambino che è in noi, illudendoci che quel tempo felice sia stato il più prezioso della nostra vita. A tutte queste prerogative risponde InterOttanta, il bel libro che Davide Steccanella ha scritto con Nicola Erba per Milieu Edizioni. C’è l’Inter al centro di tutto e non troverete altra sfumatura che quella nerazzurra. Ma proprio perché è così parziale nella prospettiva, si apre al contempo ad un magic-moment che è di tutti. Perché quelli, ebbene sì, erano gli anni 80, l’Italia del pallone stava cambiando pelle, si aprivano le frontiere ai primi campioni (e bidoni) stranieri, l’economia diventava parte integrante dello spettacolo, però lo spettacolo c’era, eccome se c’era: sfavillante e appagante, come mai più o sarebbe stato. La Serie A era Hollywood, il mondo sedeva in platea e ci ammirava. Quel favoloso decennio l’Inter ha il merito di aprirlo e di chiuderlo. Lo apre nel 1980, quando la squadra di “Tiger” Bersellini vince lo scudetto, grazie ai ghirigori di Beccalossi, i gol di “Spillo” Altobelli, i tackle di “Pinna d’Oro” Marini come lo chiamava Gianni Brera e le fughe in contropiede di Carletto Muraro. Altri tempi, il turn over non era contemplato: la rosa si compone di quattordici giocatori, gli undici titolari più Canuti, Pancheri e Ambu, È l’ultimo scudetto vinto da una squadra made in Italy, probabilmente l’ultimo di sempre: di lì a un attimo ci sarà l’invasione dei calciatori stranieri. Ed è sempre l’Inter che quel decennio lo chiude, tirando giù la saracinesca con lo scudetto dei record datato 1988-89: è l’armata leggendaria guidata dal Trap, con Lothar Matthäus in cabina di comando, Aldo Serena a vincere il titolo di capocannoniere del campionato e Nicolino Berti a briglie sciolte, come un cavallo imbizzarrito, su e giù per il campo. Poi arriveranno, a far calare definitivamente il sipario sugli anni 80, le Notti Magiche e il Mondiale casalingo di Italia 90, vero e proprio spartiacque epocale del nostro Paese, non soltanto di ciò che avviene nel perimetro del campo di gioco ma per quello che accadrà subito dopo: le stragi di Mafia, Tangentopoli, Mani Pulite, la fine della Prima Repubblica. Sono anni furenti, di derby vinti e persi, sempre e comunque memorabili. Come quello di domenica 3 marzo del 1980 quando prima del fischio d’inizio il sindaco di Milano Carlo Tognoli – mentre dalla tribuna gli lanciano insulti, cartacce e giornali in testa – scopre una lapide in memoria di Giuseppe Meazza detto “Peppin”. Lo stadio di Milano cambia nome: Meazza, non più San Siro. Il gol lo decide un gol di Lele Oriali, non ancora reso immortale dalla Vita da mediano cantata da Luciano Ligabue. O come il derby del 6 aprile 1986, quando l’equilibrio lo sblocca il più inatteso dei protagonisti, l’eroe per caso, il giovane Giuseppe Minaudo che al debutto in Serie A dal nulla sbuca e allungando il piede scrive la storia. Sono anni di premesse e promesse, stagioni che cominciano con il vento in poppa e finiscono gonfie di rimpianti. Allenatori che salgono sulla giostra – da Rino Marchesi a Gigi Radice fino a Ilario Castagner – presidenti che si danno il cambio – Ernesto Pellegrini che succede a Ivanoe Fraizzoli stranieri che arrivano e se ne vanno lasciando tracce più o meno profonde: l’austriaco con i baffi Herbert Prohaska detto “Lumachina”, il tedesco di piede raffinato Hansi Müller, l’irlandese di sguardo limpido Liam Brady, il piccolo Juary che festeggiava i gol ballando attorno alla bandierina. E poi l’immenso Kalle Rummenigge, che sbarcò all’Inter carico di gloria e di buona volontà, ma con i muscoli minati da numerosi acciacchi: eppure ogni volta che puntava l’area avversaria, con quel suo caracollare, il cuore di San Siro prendeva un ritmo diverso. Sono gli anni delle notti di Coppa, del Real Madrid bestia nera, di San Siro avvolta nella nebbia. È un’Inter che – al fischio del Trap – sta prendendo la rincorsa per il secondo trionfo all’ultima pagina del romanzo di quel periodo. Cosa resta di quegli anni 80 in salsa nerazzurra, in fondo, è presto detto: resta la giovinezza di chi quel decennio l’ha attraversato di corsa, emulando giù in cortile il ricami del Beck e le stoccate di Lothar, le rovesciate acrobatiche di Kalle e i colpi di testa senza salto di Spillo.