Avvenire, 3 febbraio 2023
Amleto, l’inafferrabile
Da un infortunio e una malattia, periodo di forzata immobilità, con la spalla rotta, viene a Piero Boitani l’impulso irresistibile di scrivere un saggio su un personaggio di cui si occupa da sempre: In cerca di Amleto, titolo perfetto del suo nuovo libro, è diviso in due parti. Nella prima l’autore passa in rassegna gli scritti dei maggiori artisti e filosofi degli ultimi due secoli che hanno espresso le opinioni più discordanti su quell’opera di Shakespeare, dimostrandone quindi l’“inafferrabilità”; nella seconda compie una ricognizione nelle vie, vicoli ciechi, labirinti in cui Shakespeare si avventura scrivendo questa tragedia. Che cosa aveva in mente quando creava Amleto, il cui personaggio e la cui storia non hanno alcun parallelo in tutta la vasta produzione dell’autore? Nessuna affinità tra il principe di Danimarca e gli altri personaggi delle tragedie maggiori, Macbeth, Otello, re Lear... «Non capita a tutti personaggi» esordisce Boitani, di passare per le anime e le menti di un numero vastissimo di autori, da Goethe a Eliot, da Thomas Mann a Mallarmé, da Freud ad Achmatova... E l’elenco prosegue, dimostrando quella che appunto definisce l’ inafferrabilità di questo personaggio, unico per la costante presenza nella letteratura a venire: «Neppure Faust né Don Giovanni ricorrono con paragonabile frequenza, solo Ulisse, in questa prospettiva gli è pari». Ulisse: di cui Boitani è uno dei maggiori studiosi a livello mondiale. Ecco che a un inafferrabile per eccellenza, quale l’itacense, il nuovo eroe della complessità, Boitani affianca l’altro leggendario personaggio la cui essenza ci sfugge. È inafferrabile anche perché, credo, Amleto è il dramma dello spettro. L’inizio: Elsinore, spalti. Gli spalti sono il punto elevato del castello, al confine con il mondo esterno, il cielo, in alto, e il bosco, all’orizzonte. La scena in cui inizia la tragedia di Amleto si colloca quindi in un luogo di confine, è piena notte, le sentinelle temono qualcosa. Che si manifesta: l’apparizione di uno spettro. Del tutto identico al re da poco morto, il padre di Amleto. La parola “spettro” ha la stessa radice di “spettacolo”: la tragedia di Amleto ha quindi origine come spettacolo assoluto. Il tormento del principe è se lo spettro, e lo spettacolo, dicano il vero. L’autore, Shakespeare, sa che è così: il dramma del principe è quello della realtà, se possa cioè esistere un essere immateriale e contemporaneamente reale: da qui, il famoso «essere, o non essere». Amleto è inafferrabile poiché è il personaggio che più di ogni altro scopre l’inafferrabilità ultima della vita, l’enigmaticità e il mistero dello spettro. E in questo, pur vivendo tale visione in forma tragica, appartiene, a mio parere, a un mondo shakespeariano in cui non è solo: Ariel, il demone dei venti nella Tempesta, e Oberon e Titania e Puck nel Sogno di una notte di mezza estate, sono, in quanto demoni, consustanziali allo spettro che appare ad Amleto. Ma lieti, poiché agiscono nella commedia, e non nella tragedia. Anche se Boitani, in questo saggio lucidissimo e ispirato, coregge quest’ultimo termine: “» Amleto non è una tragedia: è un dramma che tende alla totalità». E in questo dramma domina nel protagonista la paura della morte, che significa, specifica l’autore, «paura di qualcosa che potrebbe esserci dopo il morire, timore dinanzi all’ignoto. Amleto conosce e crede al Principio, ma nulla sembra sapere della fine». In effetti è curioso il suo dichiarare che da quella terra inesplorata non ritorna nessun viaggiatore, «quando vive in una cultura che sin dal Fedone di Platone proclama l’immortalità dell’anima, in una cultura che crede, poi, nella resurrezione di Cristo, e quando egli stesso ha appena visto il fantasma di suo padre tornare dalle fiamme purificatici del purgatorio».