la Repubblica, 2 febbraio 2023
Gli archimostri del Dragone
Sembra che stia seduto su un’enorme tazza del water». In effetti. Eccolo qui il vincitore di uno dei concorsi che più appassionano gli utenti del web mandarino: “I dieci edifici più brutti della Cina”. A dicembre si sono chiuse le votazioni online, ora la proclamazione per l’edizione 2022.
Gli utenti web hanno assegnato il primo premio al Corpus Museum, a Maanshan, provincia dell’Anhui. Appoggiata alla facciata in vetro del grattacielo, in mezzo ai campi, una gigantesca statua arancione di un uomo. Responsabile di questa “meraviglia” è lo studio olandese Pbv. Costo: 350 milioni di yuan (50 milioni di euro) per questo museo in cui i visitatori possono vedere eascoltare come funziona il corpo umano. Già ribattezzato dai residenti “la toilette”. La giuria di esperti ha invece dato lo scettro al Tian An 1000 Trees, un centro commerciale a Shanghai progettato dal britannico Thomas Heatherwick, definendolo «un fiasco estetico e comunicativo: non c’è una comprensione di base della cultura cinese».
Il concorso lo ha lanciato tredici anni fa un collettivo di architetti, accademici e critici – Archcy – per denunciare le mostruosità che ogni anno vengono costruite ai quattro angoli del Dragone. Sperando di stimolare una riflessione sull’architettura, promuovere la responsabilità sociale dei progettisti e incoraggiare le autorità a porre fine alla costruzione di queste mastodontiche strutture antiestetiche e bizzarre: spesso poco pratiche e, appunto,decisamente un pugnoin un occhio.
Nella top 10 sono entrati anche un centro scientifico a forma di pneumatico a Canton che secondo i votanti assomiglia a una toilette (quest’anno i bagni vanno alla grande), una replica (mal riuscita) del Campidoglio a Liuzhou, il museo della dinastia Tang nello Henan con il tetto formato da archi gialli capovolti che assomigliano a delle bare.
Ma la lista è lunga e negli anni scorsi una menzione di (dis)onore se la sono meritata: un ponte di vetro sospeso tra due montagne nel Sichuan con alle estremità quattro gigantesche statue in abiti tradizionali; un arco in un parco dello Yunnan che scimmiotta l’Arco di Trionfo di Parigi; il campanile di una chiesa a forma di violino nella città di Foshan; un hotel nella Mongolia Interna a forma di gigantesca matrioska.
Dagli anni Novanta la Cina è diventata un grande cantiere per la demolizione di vecchi edifici e la costruzione di nuovi. E con un’urbanizzazione a tempo di record, molti progetti si sono rivelati delle vere e proprie follie architettoniche. Dopo le aperture di Deng Xiaoping, dicono gli organizzatori del concorso, il mercato è letteralmente esploso, «spesso risultato della tendenza dei governi locali all’ostentazione e all’esibizionismo».
Lo scopo del concorso non è tanto quello di criticare un architetto o un edificio in particolare, quanto «promuovere una cultura architettonica» e «contrastare lo spreco di risorse», continua il collettivo.
Per anni la Cina è stata un terreno di sperimentazione per ambiziosi architetti nazionali e internazionali, con risultati alterni. Zhou Rong, professore alla prestigiosa Università Tsinghua e cofondatore del progetto Archcy, sostiene che i “brutti edifici” hanno finora riflettuto la passione dei funzionari cinesi «per le costruzioni gigantesche, in stile occidentale e dall’aspetto imponente».
Bello, brutto, chi lo decide? Ogni anno si sprecano discussioni tra esperti del settore su quali siano (e se ci siano) dei canoni a cui doversi attenere. Insomma, esiste un’unica estetica architettonica?
Wang Mingxian, professore della Scuola di Architettura dell’Accademia Centrale di Belle Arti e giudice del concorso, ritiene che oggi i “brutti edifici” non riguardino solo l’aspetto di queste costruzioni, ma anche «considerazioni sull’intero ambiente urbano e sullo sviluppo futuro della città. Sono solo decorazioni fasulle e uno spreco enorme».
«In passato si parlava raramente di “bruttezza” e la ricerca estetica nazionale deve ancora migliorarsi», diceva l’anno scorso in un’intervista Gu Mengchao, tra i più famosi critici dell’architettura. «Il vero proprietario di un edificio sono i cittadini. Dovremmo valutare il successo di un edificio in base alle esigenze e ai gusti di chi paga le tasse. Ci sono standard diversi in epoche diverse, ma l’essenza di un edificio è creare un buon ambiente e un palcoscenico per la vita, la produzione, l’apprendimento, lo sport e la comunicazione in base alle esigenze della comunità».
Il Partito guarda attentamente al concorso e prende appunti. La classifica è diventata così popolare negli ultimi anni che pure il governo ha iniziato infatti a prenderla seriamente. Due anni fa la Commissione sulle riforme e lo sviluppo si è scagliata contro la «brutta architettura» e ha invitato le varie autorità locali a costruire edifici «economici e belli da vedere». Solo che una definizione di cosa sia “brutto” il Partito non l’ha data. Chissà allora quali stranezze ci riserverà il prossimo anno.