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 2023  febbraio 02 Giovedì calendario

Nicola Lagioia lancia una rivista multimediale

I tempi nuovi, e reattivi, li riconosci dalle riviste.
È un indicatore infallibile: dove c’è fervore, ne nasce almeno una che registra e anima un cambiamento, svela e crea un mondo. Oppure interviene per rianimare, rinvenire, reindirizzare il presente. «Usciamo come da una vita subacquea», scriveva Alba De Cespedes sulla prima pagina del primo numero di Mercurio, la rivista che aveva fondato per raccontare la vita che tornava e il pensiero nuovo che agli intellettuali era richiesto elaborare dopo anni di guerra. Era il settembre del 1944, l’Italia era appena stata liberata dai tedeschi. C’erano le macerie e c’era la luce. Come adesso.
I nostri sono anni di transizione, distruzione, innovazione, disorientamento. Cambia tutto, anche i punti cardinali. E niente è intoccabile. Nascono riviste di carta, piccole, medie, underground, fatte con poco, pochissimo, in edizione limitata, per amatori, in seno a editori indipendenti o grandi. In comune, hanno una specie di ribellione al virtuale, un tentativo di offrire un’alternativa solida alla sua fuggevolezza. Ora, però, sui mezzi che quella fuggevolezza la cavalcano, arriva proprio una rivista.
«Abbiamo provato a creare uno strumento di conoscenza che serva a capire il mondo tanto a noi che lo facciamo, quanto a chi ci leggerà», dice alla Stampa Nicola Lagioia, che dirige Lucy.sullacultura, una rivista multimediale inaugurata ieri online (e lì resterà), che si occuperà di cultura e attualità e lo farà utilizzando le piattaforme Youtube, Spotify, Instagram, e il sito (www.lucysullacultura.it). Lui, nelle riviste, è cresciuto: ha lavorato per 15 anni nella redazione dello Straniero di Goffredo Fofi e a lungo nella rivista Minimum Fax, da cui nacque poi la casa editrice omonima (i pezzi venivano inviati per fax a scuole, uffici, librerie, università, per questo si chiamava così).
In redazione, a Lucy, ci sono 12 persone. La direzione editoriale è di Lagioia, quella generale di Giorgio Gianotto (che è stato direttore editoriale di Minimum Fax, Baldini&Castoldi, Codice, Add). Faranno: lezioni su YouTube, podcast, fumetti su Instagram, longform, raccolti in n monografico al mese.
Ambizioni?
«Diverse. La prima, la più importante, è quella che ogni istituzione culturale, dalle librerie alle grandi fiere editoriali, dovrebbe avere e cioè creare una comunità: quando succede, significa che si è innescato un processo trasformativo, e tutto ha avuto senso. Poi, creare un ponte generazionale: io sono un migrante digitale, ma in redazione ci sono moltissimi nativi digitali, e questo significa che avremo linguaggi e sensibilità diverse, e sarà più semplice creare una sinergia tra noi, e quindi tra le cose che facciamo. Terzo, la redazione: vogliamo che sia una factory, un posto dove chi ha un’idea possa venire a raccontarcela, e anche un posto dove succedono le cose. Qualche giorno fa abbiamo ospitato Edda, ha suonato per noi, metteremo online il suo piccolo concerto. E poi vogliamo essere una scoperta, e pure scoprire. Ci interessa arrivare soprattutto a persone che non potremmo che conoscere online».
Volete che il mondo "vero" venga da voi, ma voi andrete da lui?
«Lucy è nata molto tempo fa, ma c’è voluto un po’ prima di trovare i mezzi per realizzarla. Tutte le persone che abbiamo coinvolto, le abbiamo incontrare di persona, ci abbiamo parlato, a volte per ore. Tra i primi pezzi che abbiamo pubblicato ieri, quello di Starnone è nato quando sono andato a trovarlo per raccontargli la rivista. Discutevamo di creatività e lui mi ha detto che nemmeno Dio ha il pieno controllo di quello che crea, esattamente come gli scrittori, e prova ne è la Genesi, dove infatti si dice: «Dio creò la luce e vide che era buona». Prima la creò e poi, dopo averla vista, capì che era buona. C’era, quindi, la possibilità che non lo fosse. L’inedito di Ernaux sono andato a chiederlo di persona alla casa editrice L’Orma. Mi è stato detto subito di sì. Il giorno dopo, Ernaux ha vinto il Nobel. Incontro al mondo ci andiamo facendo domande, casa per casa, e dobbiamo cercare di non accontentarci di occuparci di quello che esce, di recensire, di intervistare chi è in promozione, di individuare i temi e le persone giuste per parlarne».
Quello su cui si è incastrato il giornalismo culturale.
«Io ai giornali credo tantissimo. Spesso hanno contenuti splendidi, ma nessuno se ne accorge».
C’è speranza di farli leggere ai ragazzi?
«La mia generazione si informa su carta, e poi consulta anche i siti. Oggi il passaggio sul sito non avviene: i ragazzi si informano dai social e allora è lì che dobbiamo non solo agganciarli, ma offrire loro qualcosa».
Un esempio concreto?
«Gipi ha fatto per noi un fumetto in 10 tavole, quanti sono i feed Instagram, quindi è un contenuto pensato per Instagram, ed è lo spin off di Barbarone e le scimmie erotomani, un suo fumetto pubblicato da Rulez».
È il buono dei social?
«Non so se abbiano un lato buono. So, però, che finora abbiamo sperimentato quello pericoloso e, facendolo, ci siamo immunizzati. Quindi, ora possiamo (anzi, io credo che dobbiamo) provare a usarli in un altro modo. Del resto, non hanno prodotto solo macerie. Trent’anni fa, una rivista come Lucy sarebbe costata 100 volte di più, e quindi non sarebbe mai nata. Poter fare le cose con un dispendio minore di risorse mette molto di più alla prova la creatività, perché se le risorse contano meno, vuol dire che la creatività conta molto di più, e la capacità di inventiva ha molte più possibilità di dare dei risultati. È la regola del punk, Do it Yourself».
Quindi contenuti di strada spacchettati online.
« E un modo diverso di lavorare. La redazione dev’essere un luogo di transito e non un fortino. Anni fa, conquelli dello Straniero, facemmo una riunione alle porte di Roma. E pranzammo all’aperto. A un certo punto arrivò Vitaliano Trevisan, che all’epoca faceva il portiere di notte. Chiese un passaggio per Roma, glielo diede Mario Martone, che era con noi. Si conobbero in quel viaggio. E Trevisan recitò in Primo amore di Garrone grazie a quell’incontro. Il buono dello smartworking, ante litteram».
Franzen ha detto a questo giornale che l’Intelligenza Artificiale sarà la fine della realtà oggettiva.
«Ammesso che ce ne sia una, mi spaventa di più il capitalismo della sorveglianza. In nessun caso trovo che le paure e le previsioni, ottimiste o pessimiste, possano guidare un progetto».
Voi non avete immaginato il futuro per creare Lucy?
«Ci chiamiamo come l’antenato dell’umanità...».
Quindi siete archeologi?
«Quindi guardiamo le stratificazioni. E il presente».
E com’è il presente?
«Abitato da ragazzi curiosi, come tutti i ragazzi di tutte le epoche del mondo. Ragazzi ai quali dobbiamo arrivare così come Mucchio Selvaggio arrivò, negli anni ’80, a Bari, cambiandomi la vita, facendomi conoscere cose che altrimenti non avrei mai conosciuto. Per far affezionare i ragazzi, e tutti gli esseri umani basta offrirgli qualcosa di bello, che possa diventare per loro cruciale: te ne saranno grati per sempre. La cultura divulgata per frammenti non mi spaventa: so che accende l’interesse dei ragazzi e li spinge ad approfondire. È sempre successo ».