Corriere della Sera, 2 febbraio 2023
Ornella Vanoni si racconta
Ornella Vanoni, si sente una «capitana»?
«Per niente, ma ho delle intuizioni che mi portano a scegliere una direzione invece che un’altra. Non c’è strategia: è istinto».
Carta d’identità: nasce a Milano il 22 settembre 1934, figlia unica di Nino e Mariuccia Vanoni.
«Nasco ricca e annoiata: stavo spesso nella mia stanza. Pensavo a quei fratelli e sorelle che crescono insieme e si tirano le cuscinate: forse è nata allora la mia malinconia».
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Il suo gioco preferito?
«Campana, sul marciapiede sotto casa. Ma i miei non volevano che giocassi con i figli della portinaia».
I suoi genitori.
«Due persone borghesi, con un padre che ho amato molto, perché mi faceva tenerezza: c’era in lui qualcosa che non andava, poi ho capito che era depresso».
Anche lei ha ammesso di aver sofferto di depressione.
«Strehler mi diceva che avevo i nervi fragili. Ma non ho mai pensato al suicidio: ero come quelle donne spettinate dei quadri antichi, sempre a un passo dalla follia».
Come si salvava?
«Mi sono ripresa da sola. Mi conosco bene perché ho sofferto tanto: è nel dolore che capisci, non nella felicità».
Il suo destino da ragazzina borghese cosa prevedeva?
«Non cercavo marito, ma non sapevo bene cosa fare. Avevo l’acne e la tisi. Poi è arrivato Giorgio».
Il primo incontro.
«A 15 anni, a Santa Margherita Ligure. Lui era seduto al bar, era bellissimo: era l’amante di un’amica di mia mamma».
Cosa le ha detto?
«Mia mamma non voleva comperarmi dei pantaloni gialli. Giorgio era accanto a lei: “Ma faccia questo regalo alla bambina”...».
Vi siete rivisti al Piccolo.
«Sì, agli esami di ammissione. Ero l’ultima della fila. Una voce di donna ha detto: “Qui c’è qualcosa di interessante”. Era Sarah Ferrati, mi ha vista per prima. Mi sono sfidata alla morte per vincere l’ansia».
Cosa la tranquillizzava?
«Speravo in una piaga d’Egitto, che potesse far decidere per un “stasera no”. La verità è che mi ha cambiata Giorgio: si è innamorato di me, mi ha dato dei libri e parlato della vita».
Sposato e lavorava in teatro.
«Una cosa che faceva disperare i miei: la borghesia ha sempre visto il teatro come qualcosa di peccaminoso. Il parrucchiere mi diceva: “Non fare questo ai tuoi genitori”».
Neanche Gino Paoli piaceva a sua madre. Le disse: «È un cesso».
«Mi dissero anche che era gay. E a lui che ero lesbica».
Ha mai avuto un’attrazione per le donne?
«Certo. Non ti piace la donna, ma la persona. Ci sono donne che hanno un’attrattiva».
Attrazione consumata?
«Semi-consumata: le donne sono sempre più tra di loro. Siamo libere, ma paghiamo un prezzo alto».
Quale è il più alto?
«La solitudine: io sono una donna sola, ma per scelta».
Gli amici?
«Passano gli anni e ti accorgi che sono conoscenti. Mi sono rotta il femore e solo Mario Lavezzi e Piero Salvatori sono venuti a trovarmi. E Stella Pende, la mia migliore amica. Sulla sorellanza ho delle riserve».
Cosa ci manca?
«Lo sport, basta guardare i giocatori quando si abbracciano, condividono la gioia o l’insuccesso. Noi non abbiamo avuto il tempo di aggregarci, abbiamo passato gli ultimi 1000 anni a partorire».
La maternità.
«Avevo 26 anni quando è nato Cristiano: abbiamo ricostruito un rapporto critico. Oggi sono felice se mio figlio è felice».
Cosa le rimproverava?
«Come spieghi a un bambino che la mamma parte per lavoro e non va a divertirsi? Pensava che preferissi un mondo rutilante a lui».
Si è pentita di non aver costruito una famiglia?
«Non ho trovato l’uomo giusto. Tornando indietro lo cercherei con dei figli, così si fa un bel casino insieme».
Un sassolino da togliersi...
«Non trovo giusto che Milano non mi riconosca nulla. A Carnevale in città sfilano tre maschere: quella di Berlusconi, del cardinal Martini e la mia. Dovrò rappresentare o no qualcosa per la città?»
Cosa desidererebbe?
«Da morta daranno il mio nome a una via: non mi interessa. Vorrei occuparmi da viva di un teatro, come Renato Pozzetto, che è coinvolto nel Lirico. Oppure occuparmi delle carceri: a Bollate c’è un gruppo di detenuti che vorrebbe cantare».
Le piace ancora Milano?
«No, è isterica. Per viverci bisogna essere dei nababbi».
Cosa è la milanesità?
«A Milano non si aggiunge un posto a tavola se non è previsto. A Roma sono più rilassati, anche se cinici. E c’è differenza tra ironia e sarcasmo».
Gli animali.
«Ora ho Ondina, un barboncino che nuota per ore e si tira fuori dall’acqua sfinita».
La nuova Vanoni.
«Ce ne sono di brave: Elisa, Giorgia, Emma. Ma devono tirare fuori l’emozione».
Un collega?
«Marracash. Mi parlava di Elodie, ma aveva bisogno di una donna accudente. Tutti gli uomini ce l’hanno: sono lavati, stirati e coccolati dalle mogli».
I talent?
«Vorrei essere in giuria. Non mi chiamano e sbagliano».
Il periodo più malinconico?
«Quando sono andata via da Gino. E l’ultima storia».
Il sesso.
«Conta moltissimo ma deve essere fatto bene, sennò diventa triste».
La cosa più strana fatta?
«A Montecarlo sono stata a letto con uno sceicco e il giorno dopo gli ho mandato fiori».
E lui un diamante?
«Nulla, per questo trovo l’aneddoto spiritoso».
Oggi è una donna finanziariamente al sicuro?
«No. Ho aiutato molto e non me ne pento».
Una parte del suo corpo.
«Avevo un bel sedere e una bella schiena. Poi i piedi».
Sanremo.
«Una cosa orribile la gara. Bello andarci da ospite».
Gioca a burraco?
«Per carità: se tengo le carte in mano mi cascano dall’altra parte. Non sono capace».
Frequenta i salotti?
«Ho sempre lavorato tanto».
Domani si conclude a Lugano il suo tour teatrale «Le donne e la musica». «Un grande successo. Sono sul palco con 5 musiciste e una poltrona, che mi accoglie e brilla insieme ai miei capelli».
Lei è ancora sul palco, Mina lo ha lasciato a 40 anni.
«È un’amica, ma non capisco come un’artista come lei non abbia bisogno del pubblico».