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 2023  febbraio 02 Giovedì calendario

Cadaveri di successo

Giuseppe Tomasi di Lampedusa è un nobile palermitano autore del Gattopardo. E fin qui, osserverebbe qualcuno, è una cosa che sanno tutti. Una totale banalità. Ma è una banalità che non sarebbe stata tale per lo stesso autore perché, finché fu vivo, tutti gli editori rifiutarono il suo libro. Dopo la morte divenne l’autore del Gattopardo, ma prima, da vivo, era un grafomane come tanti altri. Ed anzi un grafomane di scarso successo.
Purtroppo questa vicenda è tutt’altro che rara. Gli artisti ignorati in vita e celebrati da morti non si contano. Infatti il successo non è la naturale conseguenza del genio, non è la normale ricompensa per chi ha creato un capolavoro: è il risultato di una combinazione di caso, ostinazione, rapporti umani, a volte persino raccomandazioni, e soprattutto di fortuna, fortuna e fortuna. Senza questi ausili, il successo si rischia di non averlo affatto.
Né si può dire che il tempo è galantuomo: perché, come ha scritto Charles Baudelaire, molti «gioielli rimangono sepolti» per sempre. E per altri geni, come nel caso di Tomasi di Lampedusa, la ruota degli anni opera tanto lentamente che arriva quando il beneficiario è morto.
Fino a farne un cadavere di successo. È anche vero che l’autore del Gattopardo ha avuto il cattivo gusto di morire a sessantun anni e non ha nemmeno rivisto accuratamente la seconda parte del suo libro. Con un gioco di parole si potrebbe dire che non ha dato al tempo il tempo di provarci, a rendergli l’omaggio che meritava.
Ma il caso più drammatico è quello di Pierre Corneille. Molti italiani nemmeno conoscono questo tragediografo e del resto con quale coraggio uno può andare a chiamarsi «cornacchia», di cognome? «Cornacchia» è persino peggiore di «Bufalino». Comunque, Corneille è stato un grande artista e per così dire il capostipite del teatro francese del Seicento. Insomma un uomo di enorme successo. Va detto però che lui non ha avuto la fretta di Tomasi di Lampedusa ed è morto a settantotto anni. Purtroppo, nel suo caso, il risultato è stato l’opposto dello sperabile. Invece di divenire col tempo il monumento a sé stesso, da anziano non ha più avuto fortuna. Il pubblico parigino lo ha per così dire dimenticato e si è spellato le mani ad applaudire Philippe Quinault, un autore di cui oggi nessuno più sente parlare. Forse ignoto persino ai professori di letteratura francese.
Quinault era l’uomo del giorno, Corneille era un uomo del passato. Per giunta un uomo con problemi di denaro, tanto che non riusciva a metterne insieme abbastanza per la dote della figlia. La storia registra la sua amarezza (oggi si direbbe che «rosicava») fino all’estremo sberleffo del destino: nel tentativo di riguadagnare lo spazio perduto, Pierre scrisse parecchie tragedie ma queste, di poco valore, non ebbero successo e confermarono il suo declino. Poi ne scrisse una, «Suréna» (che oggi i critici giudicano un capolavoro), ed essa ebbe la stessa sorte delle altre: nessuno la notò. Forse il destino è stato più benevolo con Tomasi di Lampedusa. Meglio non vedersi ricompensati per quel minimo che si merita, che vedersi ritirare il successo ottenuto con sudore, e che si reputa acquisito.
È la storia mille volte raccontata delle celebrità che invecchiano, che il pubblico totalmente dimentica e che vivono nell’indigenza. L’Italia ha dovuto addirittura creare una casa di riposo per artisti poveri, «Casa Verdi», in modo da dare un tetto a coloro che un tempo avrebbero potuto abitare in regge e ora dovrebbero altrimenti rivolgersi all’ospizio dei poveri.
Il successo, o almeno la riuscita (non bisogna chiedere troppo), ha anche i suoi capricci. Io per esempio avevo l’umile ambizione di scrivere qualche articolo sui giornali e la vita mi ha detto sempre di no. Fino ai cinquant’anni. E poi? Niente. Niente fino ai 60, 70, 80 anni. Finché, visto che mi ostinavo a non morire, quando sono stato più vicino ai novanta che agli ottanta, il tempo è arrivato sorridendo e mi ha chiesto: «Per caso sono in ritardo»? «Ma no, ma no», ho mentito, «si figuri». E lui mi ha annunciato: «L’aspettano su ItaliaOggi. A braccia aperte». Così ho capito due cose: la prima, che è stupido morire prima dei novant’anni. E in secondo luogo che a me è andata meglio che a Tomasi di Lampedusa. Per un pelo sono sfuggito alla sorte di essere un cadavere di editorialista di successo.