il Giornale, 2 febbraio 2023
Il Dodo redivivo
Non esiste più da 500 anni. Ma mai è scomparso dall’immaginario collettivo. Il dodo, sgraziato animale leggendario delle isole Maurituius, ha ispirato romanzi, film di fantasia, persino una collezione di gioielli di Pomellato. L’abbiamo trovato in «Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, nel film «L’era glaciale», in una canzone dei Genesis. È pure finito nei vocabolari inglesi per indicare una persona «fuori dal tempo». E ora potrebbe tornare in vita. Effetto della scienza che si impunta e sfida l’impossibile.
Fondata due anni fa e già impegnata in iniziative simili come quella di ricreare il mammuth e la tigre della Tasmania, la Colossal Biosciences di Boston – in tutto 83 dipendenti – ha raccolto 150 milioni di dollari per finanziare il progetto, che sarebbe il primo mai tentato sulle uova di un uccello.
Il senso etico di tutto ciò è traballante. Diciamo che, più che altro, dire che si sta per ridare vita al dodo è una buona operazione di marketing scientifico per dare nuova linfa (e parecchio denaro) agli esperimenti sulla genetica. Che magari un giorno potrebbero aiutarci a trovare le cure per certe malattie. Al netto di azzardi poco etici.
Certo è che, se mai gli scienziati riuscissero in questa impresa ai limiti dell’assurdo, sarebbe un evento eccezionale. Una specie di inversione di rotta dell’estinzione, di cui per altro il dodo è «testimonial», assieme al panda, nelle campagne del WWf. La risurrezione biologica sembra un’inutilità rispetto alla conservazione di certe specie, che già è difficile, ma è un filone che potrebbe aprire nuove vie nei laboratori sullo studio del dna, le sue evoluzioni e contro-evoluzioni.
Per ora accontentiamoci di un dodo sopravvissuto nella memoria. Del resto era scritto che non potesse farcela altrimenti: Pesava una quarantina di chili al massimo, poteva svolazzare solo per brevissimi tratti, e non certo con l’eleganza di un fenicottero, e solo una volta all’anno era in grado di produrre un uovo e uno solo. Che quasi sempre finiva in pasto alle scimmie. Però ora quell’uovo potrebbe schiudersi, direttamente dal 1.600. Un riscatto dall’estinzione causata da cani, gatti e maiali portati alle Mauritius dai colonizzatori portoghesi e olandesi. Nemmeno da quelli riusciva a scappare il povero e goffo dodo.
«La preistoria c’è già stata, ma non è mai stata riportata in vita dalla scienza» è il motto della Colossal Biosciences. Eticamente, l’esperimento comporta tecniche meno spinte di quelle studiate per ricreare il mammuth, per le quali l’ingegneria genetica dovrebbe agire sul corpo di un elefante: in questo caso si tratterebbe di intervenire su uova di piccione, il volatile più parente prossimo del dodo. Anche così, l’operazione incontra obiezioni: «È senza dubbio un animale iconico, ma non si capisce l’utilità del progetto – commenta sul Guardian Ewan Birney, direttore dello European Molecular Biology Laboratory – Meglio concentrarsi sulle specie esistenti, prima che si estinguano».
Ben Lamm, co-fondatore e amministratore delegato della Colossal, risponde che il tentativo di fare rivivere il dodo potrebbe contribuire agli sforzi dei conservazionisti, sviluppando tecniche che permettano agli scienziati di sviluppare determinati tratti genetici per aiutare specie minacciate di estinzione ad adattarsi al cambiamento climatico.
Il dna del dodo è pronto per essere prelevato: ne esistono centinaia di esemplari perfettamente conservati in musei di mezzo mondo. Da lì cominceranno gli esperimenti. Che cominceranno a ripercorrere la vita degli antenati degli antenati del piccione.