il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2023
Intervista a Vittoria Puccini
Vittoria Puccini, ha Una gran voglia di vivere: dal 6 febbraio su Prime Video, titolo impegnativo.
Abbastanza, ma non ci si può rassegnare nella coppia a una situazione di compromessi, felicità saltuaria, stanchezza e non detti: serve rischiare per tornare a condividere, a guardarsi, altrimenti meglio lasciarsi.
A correre il rischio Anna, lei, e Marco, Fabio Volo.
Anna sente che si sono fermati e vuole rompere l’impasse, Marco teme di innescare un meccanismo di non ritorno: la provocazione della donna, la paura dell’uomo, come spesso è. A me è successo di lasciarmi…
Alessandro Preziosi.
Quella e altre storie passate, capita di non stare più bene insieme.
Meglio il Fabio Volo scrittore – Una gran voglia di vivere adatta il suo romanzo – o l’attore?
È un profondo conoscitore dell’animo umano, e anche sul set è molto professionale.
Le accostano coppie, il recente Vicini di casa, o uomini, il “Thor” di questo film, sessualmente disinibiti.
Subire il fascino dell’altro capita agli uomini come alle donne, con la differenza che il cinema fino a un po’ di tempo fa tralasciava di raccontare le seconde: desiderio, seduzione, tradimento oggi hanno finalmente trovato parità di genere sullo schermo.
Una regista, Michela Andreozzi, aiuta.
Non per quote rosa o partito preso, a Michela interessava narrativamente Anna, sicché a differenza del romanzo di Volo il mio personaggio è più approfondito, ha il suo punto di vista.
“La felicità – dice Marco – è sopravvalutata”: concorda?
Per me è una parola difficilissima, felicità: non ho capito che significa, lo sappiamo forse solo quando felici non siamo.
“Io non voglio accontentarmi”, ribatte Anna.
Accontentarsi non mi piace, ma ancor più odio il giudizio a senso unico: la ragione è a fasi alterne nella coppia. Marco e Anna ce lo dimostrano: alibi, paure, risentimenti sono all’ordine del giorno, la colpa non è mai completamente dell’uno o dell’altra.
Il nostro cinema, sincera, la accontenta?
Mi sembra un momento non facile, dopo uno difficilissimo, però ci sono segnali positivi: Vicini di casa, il film di Paolo Genovese Il primo giorno della mia vita in cui recito, Le otto montagne e la commedia di Fabio De Luigi Tre di troppo hanno avuto riscontri positivi, è questione di abitudine andare al cinema, e dopo la pandemia ci stiamo tornando. Il divano è comodo, ma l’esperienza della sala è unica, incredibile: concentrazione e condivisione, non c’è paragone. È la differenza che corre tra cucinarsi un piatto solo per sé e uscire a cena in compagnia.
Una gran voglia di vivere però va in piattaforma.
Un film scritto per la sala perde di senso se lo vedi in tv, ma ci sono quelli ideati per la piattaforma. Sono due mondi diversi che oggi si parlano, fortunatamente: le differenze che esistevano tra i professionisti del cinema e della tv, ridotti a Serie A e Serie B, non tengono più, la qualità delle serie ha alzato il tiro e spaziare dal piccolo al grande schermo è diventata la norma.
Sono trascorsi due decenni da Elisa di Rivombrosa, la serie che l’ha lanciata.
Avevo vent’anni, sentii subito una grande passione: dieci mesi di riprese serrate, la disciplina la impari subito, altrimenti non ce la fai fisicamente. Dobbiamo capirci: non si è artisti per hobby, è un lavoro.
È presidente dell’associazione Unita (Unione nazionale interpreti teatro e audiovisivo), quali sfide vi attendono?
Il contratto collettivo nazionale per gli interpreti audiovisivi: mai esistito. Con il sindacato abbiamo presentato ai produttori una piattaforma di discussione, il nostro lavoro va normato. Non solo i tecnici, anche gli interpreti debbono averla, a tutela dei più deboli e fragili che non hanno potere contrattuale.