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 2023  febbraio 02 Giovedì calendario

Il pamphlet del generale Butler contro la guerra

«La guerra è un racket. Lo è sempre stata. Forse il più antico e redditizio, certamente il più feroce… Solo gli insider lo conoscono bene.
Vi sono vantaggi per pochi e perdite per molti. C’è chi dalla guerra trae enormi profitti». Sono parole che potrebbe dire un pacifista oggi, ma sono state scritte nel 1935 dal generale Smedley D. Butler (1881-1940) e pubblicate nel pamphlet intitolato, appunto, War is a Racket. Butler ha combattuto nella prima guerra mondiale ed è stato il marine più decorato nella storia degli Stati Uniti. La sua figura è rievocata nel recente film Amsterdam: nel 1934 alcuni ricchi industriali ordirono un complotto contro il presidente F.D. Roosevelt e cercarono di tirare Butler dalla loro parte per sfruttarne la notorietà. Invece lui svelò l’intrigo. Nel pamphlet, scritto dopo quei fatti, denuncia quello che anni dopo Eisenhower avrebbe definito «il complesso militare industriale»: «Con la [prima, ndr] guerra mondiale negli Stati Uniti sono emersi 21 mila nuovi miliardari: tanti risultano dalle dichiarazioni fiscali. Ma nessuno sa quanti siano coloro che hanno nascosto i loro profitti». Con la guerra il debito pubblico cresce: sarà pagato dai contribuenti mentre si arricchiscono coloro che allo Stato vendono armi, divise, medicinali, ecc. Lo spiega, cifre alla mano.
La partecipazione al conflitto in Europa è costata agli Usa 52 miliardi di dollari, 400 dollari per ciascun cittadino. Se usualmente le aziende ricavano dal sei al dodici percento di profitto, quelle che partecipano alla bonanza dello scontro bellico ricavano il trenta, cento, mille e più percento. Profitti per persone che mai hanno scavato una trincea, mai hanno sentito il sibilo dei proiettili vicino all’elmetto, mai hanno versato sangue per la patria. Elenca i gruppi che più si sono avvantaggiati con la prima guerra mondiale: United States Steel, Anaconda, Utah Copper, Central Leather Company...
Sono i cittadini a pagare, ma più di tutti pagano i soldati: «Se non ci credete visitate i cimiteri di guerra o gli ospedali per i reduci». E, continua, considerate le malattie mentali che insorgono in coloro che si sono visti sfiorare più volte dalla morte, guardate quei ragazzi che, già sballottati sui campi di battaglia, quando sono rimandati a casa faticano a recuperare la vita civile, dimenticata dopo essere stati precipitati nel mondo della violenza. E non è finita: Butler in quegli anni vede prepararsi il nuovo conflitto. Lo vede nelle minacce di Hitler, nel riarmo della Germania nazista, nei proclami di Mussolini secondo cui «Solo la guerra sviluppa al massimo le energie umane e mette il sigillo della nobiltà su coloro che hanno il coraggio di affrontarla» (da un articolo del Duce pubblicato su “International reconciliation”, rivista del Carnagie Endowment). Non sono i militari a volere lo scontro, insiste Butler, ma sono coloro che mirano a trarne vantaggio sapendo di non correre alcun rischio. Le sue proposte: ci vorrebbe una votazione prima di entrare in guerra e dovrebbero esprimersi solo i cittadini che se ne accolleranno i costi. Bisognerebbe assicurarsi che le forze militari siano preparate e votate solo alla difesa, non all’attacco. E, soprattutto, prima di chiamare alle armi chi dovrà combattere, bisogna coscrivere tutti coloro che appartengono ai gruppi finanziari e industriali che possono trarre profitto dalla guerra: per tutto il periodo delle ostilità saranno stipendiati dallo Stato e solo quando tornerà la pace potranno continuare a far profitti con le loro attività. Utopistico?
Meno di quanto lo sia sperare che un organismo internazionale risolva i conflitti, chiosa il generale. Forse le sue proposte potrebbero essere riprese oggi, quando l’Onu è ben più efficace di quanto lo fosse la Società delle nazioni di allora. Un tempo il segreto bancario era inviolabile, ma la necessità di contrastare il riciclaggio di denaro sporco sta cominciando a erodere questo tabù, così come quello dei paradisi fiscali. Perché non immaginare che anche i tabù legati alle guerre possano essere intaccati? Quanto scriveva Butler nel ‘35 può riferirsi a qualsiasi guerra. Certo la difesa dall’aggressore è un diritto inalienabile; come è imperativo soccorrere chi è aggredito. Il problema sta nel farlo restando nei limiti delle necessità legittime, senza farsi prendere la mano da chi ha altre mire.
La lezione di Butler anche oggi va tenuta in mente