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 2023  febbraio 02 Giovedì calendario

Riportare in vita il dodo

Didus ineptus. Inizialmente si chiamava così. Ovvero: così lo aveva chiamato Linneo, dopo che i colonizzatori portoghesi lo avevano trovato a razzolare sulle isole Mauritius, nel 1507. A razzolare, sì. Perché il Didus ineptus, poi ribattezzato Raphus cucullatus, nonvolava. Balzellonava,piùomenocomefanno le galline, solo che lui era più simile a un colombo, o forse a un cigno. Le dimensioni però erano ragguardevoli: era alto, pare, circa un metro, pesava una ventina di chili, e aveva una grande testa, ali corte e zampe robuste. La coda era un ciuffo di penne ricurve e ricurvo era anche il becco, utilissimo per la sua dieta: frutta caduta che trovava in giro. Non proprio una bellezza, dunque, ma una presenza molto esotica e buffa, tanto da attirarsi quel nome, “doudo” che in portoghese significa “semplicione”. Non sapeva volare, non sapeva nuotare, non poteva scappare. Le sue carni non erano particolarmente gradite agli europei, e questo avrebbe potuto essere la sua salvezza. Ma nella spedizione c’erano anche maiali, e a loro il dodo non dispiaceva affatto. Dopo, forse a bordo di altre navi, vennero le scimmie, e per lui fu fatale. Sventurato uccello, il dodo. Estinto, pare, prima della metà del 1600, sicuramente lo era nel 1690.Tutto quello che sappiamo di lui, lo dobbiamo a cronache di viaggiatori. Non se ne sono conservati esemplari in tassidermia: solo tre o quattro scheletri assemblati più o meno fantasiosamente e qualche frammento d’osso e una zampa. Le altre sono ricostruzioni. Ma la sua azione sull’immaginario è stata potente. Dietro alla figura del Dodo diAlice nel Paese delle Meraviglie, quello che organizza la “Corsa Elettorale” alla fine della quale vincono tutti, peresempio, c’è lo stesso Lewis Carroll. Timidamente balbuziente, Carroll pronunciava il suo nome “Do-Do- Dodgson” ed è divertente notare che quando la sua biografia fu inserita nellaEncyclopaedia Britannica, subito sopra comparve anche la voce Dodo. Adesso, sembra, lo faranno rinascere. L’annuncio viene dalla Colossal Biosciences, società americana esperta in progetti di de-estinzione: nella sua lista anche mammut e tigre della Tasmania. Vedremo. Il dodo lo resusciterebbero non tanto clonando il suo Dna(impresa tecnicamente possibile, ma ancora molto difficile), bensì manipolando il genoma di una specie “strettamente correlata”. Per esempio, il piccione, le cui “cellule germinali primordiali”si impianterebbero in una cellula uovo ospite. L’eventuale risultato sarebbe“un uccello similea un dodo”.Niente di imminente, dunque, e forse neanche un “vero” dodo. Eppure, quante domande provocain noiquesto annuncio(o, sesipreferisce, questo sogno) della Colossal Biosciences. Laprimaè:comevivrebbequiildodo?Dove–o da chi – imparerebbe a essere dodo? Quale sarebbe il suo mondo? A queste domande, ne seguono altre, più generali: quand’è che una specie può dirsi ancora vivente? Basta il Dna a fare la biodiversità? Circa novant’anni fa Jakob von Uexküll, zoologo estone-tedesco, pubblicavaStreifzüge durch die Umwelten von Tieren und Menschen (in italiano èAmbienti animali e ambienti umani, Quodlibet). La sua tesi era questa: ogni animale ha un mondo che comprende. Questomondo èfattodi segnispecifici, conparametri determinati. Insomma, è impossibile separare l’animale dal mondo, perché l’animale è quel mondo. Ma se quel mondo non c’è, possiamo dire che c’è l’animale?In mancanza del suo mondo (l’ecosistema, senza scimmie e maiali, delle isole Mauritius prima che le foreste fossero soppiantate dalla canna da zucchero) il dodo-piccione è un esercizio diarscombinatoria, una glossa,unacuriosità. E allora forse l’impresa più colossale non è ingegnerizzare geneticamente un dodo, ma salvare gli altri, i dodi di oggi: aiutarli, quelli sì, a casa loro. Però questa storia ci dice anche altro: ossia che, quanto più il mondo di questi animali scompare, tanto più noi continuiamo a immaginarceli, a sognarli, a evocarli. Forse è perché fanno parte di noi, vogliamo veder- celi intorno – come se li vedevano intorno gli artisti preistorici, che popolavanocaverne oscure di bisonti, cervi, gazzelle, tigri, cavalli. Decine di migliaia d’anni prima dell’agricoltura, quella fu la nostra prima arte: l’ingegneriageneticaèunabrillante variazione sul tema. James Hillman dice che ci portiamo dentro la malinconia delle morti del mondo. «Quando l’ultima giraffa, l’ultimo orso bianco muore, muore anche la prima giraffa alla qualeAdamohadatoilnome,quellaimbarcata sull’arca», scrive in Presenze animali (Adelphi). La nostra psiche, le nostre immagini, i nostri sogni non sono solo nostri: sono del mondo. Anima del mondo, la chiamavano. Quel mondo che è ogni animale, anche quelli estinti, anche noi.