Corriere della Sera, 1 febbraio 2023
Intervista a Marco Mengoni
Non fa scongiuri o gesti scaramantici. Soltanto gli occhi un po’ sgranati.
Allora Marco Mengoni, lei con «Due vite» è dato come favorito di questo Festival di Sanremo.
«Un po’ mi mette pressione... Nonostante questo, vorrei divertirmi e non pensare al sabato. Fortunatamente nella mia carriera ho già una statuetta con il leone, l’unico premio che tengo in studio. Se si vince bene, sennò, come diceva qualcuno, l’importante è partecipare».
È la terza volta che si presenta in gara. La prima nel 2010, due mesi dopo la vittoria a «X Factor».
«Venni catapultato al Festival, fu un buttarsi e “vediamo che succede”. Ho pochi ricordi confusi. Arrivammo con una 500 carica di sogni e vestiti. Allora non avevo stylist, truccatori e parrucchieri al seguito e guardando foto e video si capisce. Ero immaturo, inconsapevole, caratteristiche che a volte giocano a favore».
Nel 2013 vinse con «L’essenziale», pezzo che le ha svoltato la carriera.
«Il 2012 era stato un anno pieno di rivoluzioni. Avevo cambiato manager. Io e Marta (Donà, ancora con lui oggi, ndr) eravamo giovani e nessuno credeva in noi. Mi davano per spacciato e finito. È stato strano a Sanremo, mi sembrava di combattere contro tutto. Poi piano piano, sera dopo sera, ho visto che qualcuno mi tornava vicino. Io stesso però mi tiravo schiaffi perché non credevo di poter reggere una carriera. Avevo dubbi, stavo per iscrivermi di nuovo all’università sapendo che la musica sarebbe rimasta nella mia vita ma in altro modo. La vittoria mi ha svegliato dai miei stessi dubbi».
Il suo quartier generale sarà uno stabilimento balneare, ribattezzato Lido Mengoni. Che succede?
«Un punto di ritrovo per scambiare idee, fare attività, giocare a burraco e calcetto. Tutte le mattine ci sarà con me Fabio De Luigi e le nostre chiacchiere in libertà diventeranno un podcast, titolo “Caffè col limone”».
Rimedio per i postumi della sbornia...
«Sono alla ricerca di un equilibrio. E la sera prima non devo esagerare con i cocktail».
Sempre alla ricerca del suo equilibrio personale?
«Da 7 anni dedico un’ora o due alla settimana ai miei pensieri assieme a una terapista. E chiamo questo lavoro su me stesso la mia storia infinita. Non ci si scopre mai. La canzone di Sanremo nasce da un flusso di coscienza fra me e Davide Simonetta (coautore della musica, ndr) durante le session del terzo capitolo di “Materia” che uscirà prima del tour negli stadi».
Di cosa parla?
«È un parallelismo fra la ratio e l’inconscio, l’alternarsi di queste vite parallele, entrata e uscita dall’onirico al reale. L’inconscio, il mondo di Morfeo, mi dà risposte, a volte pungenti, che l’analisi della vita quotidiana, quindi la ratio, non riesce, o non vuole darmi. “Due vite” però è un brano positivo. Nel testo c’è un’apocalisse ma è lunare, lontana, notturna. A un certo punto parlo di notti buttate via fuori da un locale... Non sono buttati via quei momenti di noia, sono importanti, a me fanno uscire la parte creativa. Mi auguro, quindi, di sbagliare ancora nella vita, di prendere altri schiaffi».
Il video di Zelensky previsto per la finale ha diviso la politica. Che ne pensa?
«Condividere la serata con un messaggio di pace è in linea con il mio animo. Non ci vedo proprio nulla di oscuro o negativo».
Lei con «Let it be» dei Beatles ed Elodie siete gli unici ad aver scelto brani in inglese per la serata delle cover. Come mai?
«Mi sono misurato spesso col cantautorato italiano. Anche a Sanremo nel 2013 con Tenco e l’anno dopo da ospite con Endrigo. Quest’anno porto in gara un pezzo che ha dentro molte parole e volevo confrontarmi con qualcosa fuori dai confini. Quella è una canzone, anzi un inno all’andare avanti. Con me ci saranno 13 voci del Kingdom Choir di Londra, professionisti che hanno cantato al matrimonio di Harry e Meghan, per dare un colore gospel. La contaminazione con la musica afro è parte della mia vita a tal punto che non la chiamerei nemmeno contaminazione visto che ci sono cresciuto dentro grazie agli ascolti di mamma: mi rappresenta, mi libera».