il Fatto Quotidiano, 1 febbraio 2023
500 anni di Perugino
Siamo al Musée des Beaux-Arts di Caen, la città di Guglielmo il Conquistatore, in Normandia. È tra i più blasonati di Francia. Qui si susseguono i Veronese, Poussin, Tintoretto, Rubens, Courbet, Delacroix, Monet. E l’ingresso costa tre euro e cinquanta. Fa leggenda a sé, in questa cornucopia, lo Sposalizio della Vergine, “di gran lunga l’opera più importante del nostro museo”, ci dice la direttrice Emanuelle Delapierre. E se lo dice lei. Lo realizzò Pietro di Cristoforo Vannucci, detto Perugino, dal 1501 al 1504. Il pittore era venuto al mondo intorno al 1450 e quest’anno, proprio a febbraio, ricorrono i cinquecento anni dalla sua morte.
In origine, questo grande olio su tavola era stato immaginato per il Duomo di Perugia. La composizione rievoca un altro dei lavori celebri di Perugino, la Consegna delle chiavi, affrescato una ventina d’anni prima nella Cappella Sistina. Poi vennero le spoliazioni napoleoniche e nel crepuscolo del 1700 il dipinto fu confiscato e portato Oltralpe. Posseduto gelosamente, ora torna per un po’ “a casa”: Perugia gli dedica, infatti, una mega-mostra che inaugura il 4 marzo nella Galleria nazionale dell’Umbria. Un’esposizione denominata, programmaticamente, Il meglio maestro d’Italia: sottotitolo, “Perugino nel suo tempo”, che si conferma galantuomo. L’obiettivo è quello di restituirgli lo status che i suoi contemporanei gli avevano conferito. Nell’ultimo ventennio del 1400 non c’era partita per nessun’altra star del pennello. Era piena “vague peruginesca”.
Lo Sposalizio della Vergine sarà il manifesto e lo spirito-guida dell’evento. Vedremo una settantina di suoi capolavori, tutti antecedenti al 1504, quando l’artista era nel mezzogiorno propulsivo e risplendente della sua carriera. Ricordano i curatori Marco Pierini e Veruska Picchiarelli: “In una lettera del 1500 Agostino Chigi, tra i più grandi mecenati dell’epoca, definiva Perugino ‘il meglio maestro d’Italia’. La scelta di utilizzare questa espressione sancisce l’intenzione di raccontarne la grandezza attraverso gli occhi di chi poté ammirare il suo lavoro da una prospettiva privilegiata, senza i condizionamenti dovuti a una fortuna critica quantomeno altalenante”. O meglio, sovente infausta. Vasari ed epigoni vari, se ci siete battete un colpo. La mostra costituisce la punta di diamante delle celebrazioni e vede coinvolti alcuni tra i più importanti musei internazionali: dagli Uffizi di Firenze al Louvre di Parigi, dalla Gemäldegalerie di Berlino alle National Gallery di Washington e Londra. In arrivo tesori pittorici da tutto il pianeta, anche quelli di solito ardui da spostare: per dimensioni, fragilità, pruriti nazionalistici.
Il Perugino era nato a Città della Pieve, il borgo umbro noto oggi perché ci vive l’ex premier Mario Draghi. Qui nelle chiese e nei palazzi si possono ammirare molti dei suoi quadri. Così come in altri medi e piccoli paesi della Regione: per sopravvivere, nei suoi anni finali, colpito da precoce damnatio memoriae, il fu “divin pittore” si adattò a incarichi molto lontani dal suo passato fastoso. Lui che aveva cominciato lavorando a Perugia per poi trasferirsi a Firenze, da Andrea del Verrocchio. Ecco i successi romani e le commissioni in tutta la penisola. Le sue botteghe lavoravano freneticamente. L’antesignano dell’imprenditoria applicata all’arte. Cosa imperdonabile per Vasari, che evidentemente ci ha sentito: “Fu persona di assai poca religione e non se gli poté mai far credere l’immortalità dell’anima; anzi con parole accomodate al suo cervello di porfido, ostinatissimamente ricusò ogni buona via – scrisse, pare esagerando, nella biografia dedicatagli –. Aveva ogni sua speranza ne’ beni della fortuna, e per danari arebbe fatto ogni male contratto”.
Di certo la grandezza di Perugino è offuscata da un retaggio ingombrante: essere stato il mentore di Raffaello, che si cimentò pure lui in uno Sposalizio della vergine. E si tende così a catalogarlo come un reuccio di passaggio. Troppo prolifico e mercantile per essere stato un genio. Sbagliato, il suo contributo è stato fondamentale. Come ci spiega la co-curatrice della mostra Picchiarelli, Perugino “è il primo pittore, dopo Giotto, a permettere all’Italia di parlare un’unica lingua espressiva, veicolando un linguaggio nazionale, un canone stilistico e modelli figurativi e iconografici insieme. Ed è stato il padre del classicismo pittorico a venire”.
Il Perugino è inoltre la quintessenza della cultura umbra da esportazione. E quest’anno l’Umbria è stata scelta da Lonely Planet tra i “best travel”, unica presenza tricolore nella bibbia del turismo globale. A inizio aprile poi arriverà nelle sale cinematografiche Perugino, Rinascimento immortale. Niente male, come concatenazione astrologica. Lui ne sarebbe felice. Ci sarebbe tanto da lavorare. Pietro Vannucci di nuovo acclamata superstar: era morto dimenticato da tutti.