il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2023
Amatrice, la ricostruzione più pazza del mondo
È la ricostruzione più pazza del mondo, sicuramente la più costosa dal dopoguerra, la più generosa e la più incomprensibilmente sfarzosa. È il governo italiano che stanzia i soldi, non un sultanato. È da Roma che partono i bonifici, non dalla banca di Bin Salman. Ed è qui, nel grande quadrato dell’Appennino che tocca Marche, Abruzzo, Lazio e Umbria, che è nato un nuovo partito italiano, un partito che non cerca voti perché è ricco di suo. Geometri, ingegneri, architetti, geologi: una falange che fatturerà, a consuntivo, quasi 5 miliardi di euro in parcelle professionali. What else?
Il regno delle betoniere. Prendiamo fiato e partiamo dal cuore di questa mirabolante storia d’oro zecchino. Puntiamo il navigatore su Arquata del Tronto, provincia di Ascoli Piceno. Con i suoi 991 residenti, tra i monti Sibillini e il Gran Sasso, sta affogando dentro il lago degli 870 milioni di euro garantiti dal Parlamento per farla uscire dall’emergenza del terremoto. Ora non sa però come fare con tutte quelle banconote che sono pietra al collo. Anche spendere è una fatica e a volte, non ridete, succede che non ce la si fa. Lo Stato ha riconosciuto al piccolo comune come risarcimento per i danni patiti nel 2016, le case cascate e i 51 concittadini morti in quella drammatica notte di sei anni fa una cifra non alla portata dei talenti, pur numerosi, della comunità. I tecnici stanno spremendo le meningi per trovare il modo di centrare il target. Ovunque si largheggia con le spese e, nelle cronache locali, si ritrovano gli espedienti messi in atto per far quadrare i conti verso l’alto: adesso nell’entroterra appenninico è difficile costruire una casa a meno di cinquemila euro a metro quadrato pur sapendo che, dovesse essere rivenduta il giorno dopo il completamento, non varrebbe più di 500 euro a metro quadrato. Arquata – per dire – aveva l’impegno di inviare 1.693 progetti di ricostruzione. All’ufficio tecnico del comune, già stremato da sei anni di ininterrotta attività, sono giunte solo 274 domande di contributo, e di queste solo 184 approvate. Catastrofe!
La capitale del dolore. Erano le 3:36 del 24 agosto 2016 quando la terrà inghiottì Amatrice, la capitale del dolore e del lutto. Dei 299 corpi contati in tutta l’area del cratere 237 furono estratti lì. Corpi murati nel cemento o seppelliti sotto le travi. Piedi, mani, occhi, braccia ripresi dalla vita e succhiati nella tragedia immensa. Stordita, incredula, l’Italia ha scelto di essere vicina ad Amatrice stordendola a sua volta con i lingotti d’oro di una ricostruzione extra lusso. Il paese ha 2.500 residenti (d’estate la popolazione supera i 20 mila) ha richiesto e ottenuto di vedersi assegnata la cifra super spaziale di 1 miliardo e 355 milioni di euro. Quando arriverà, se arriverà. Finanziate le prime case, le seconde, magari le terze. Uno sproposito che invece di far bene, come si pensava, ad Amatrice la inchioda al fermo tecnico, all’ansia da prestazione, alla corsa dell’arraffa arraffa.
Da Amatrice ci si attendevano 2.100 domande di ricostruzione. Finora presentate la metà (1.076), per un valore complessivo di 480 milioni di euro. A oggi quelle approvate sono 538, i cantieri aperti fino a questo momento valgono qualcosa come 163 milioni. Di questo passo nemmeno fra vent’anni il paese progettato, pianificato, grandemente ampliato, sarà ricostruito.
Rischio cantiere infinito. Arquata, Amatrice e poi Accumoli. I paesi delle tre A, ricordate? I tre centri maggiormente colpiti. Accumoli (551 residenti) prevede di introitare 450 milioni di euro. Pazzia? No realtà. 695 domande attese, solo 215 presentate, 101 approvate. Nel volumetto di fine mandato del commissario alla ricostruzione, Giovanni Legnini, Pd, appena sostituito da Giorgio Meloni con l’ascolano Guido Castelli (di Fratelli d’Italia, naturalmente) c’è la combinazione amara dei numeri che fanno riflettere e soprattutto la documentazione di come questo territorio rischi purtroppo di divenire la piattaforma perfetta di una ricostruzione infinita. Sono 138 i comuni del cratere, l’area di maggiore distruzione, altri 500 hanno subito danni lievi o lievissimi e un catalogo dei bisogni che non finisce più. Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio: nel cuore di queste quattro regioni la frattura maligna (sesto grado Richter) e il bisogno di risollevare l’economia, innaffiare di provvidenze pubbliche un territorio già colpito nel decennio precedente da un altro sisma cattivo.
Niente treni verso le coste. A oggi sono 28 mila le domande presentate ma 22 mila sono ancora da presentare. Ventisei miliardi di euro la spesa preventivata (con la lievitazione dei costi dovuti alla guerra si arriva ai trenta). Nove/decimi di questa spesa per realizzare cubature di cemento armato, ricostruire le abitazioni dei residenti e dei villeggianti. L’esito? Finora consegnate 18 mila abitazioni. Circa il 25% dei terremotati storici hanno lasciato i prefabbricati. Però c’è un mare di case vuote. La demografia non perdona e senza collegamenti veloci con i centri metropolitani su Tirreno e Adriatico il flop è assicurato. Ci sarebbe bisogno di collegamenti ferroviari a bassa intensità ma frequenti. Invece zero! Tutti binari morti. E chi mai potrà abitare ad Amatrice se dovesse avere l’ufficio a Roma? Si possono spendere quattro ore al giorno, due all’andata e altrettante al ritorno, sulla Salaria, la consolare più pericolosa d’Italia? Certo che no!
Finora sono stati chiesti 10 miliardi di euro, ma dal ministero dell’Economia sono partiti bonifici per 5,5 miliardi di euro. Approvate 16 mila domande di contributo, novemila ancora in istruttoria e tremila respinte. Dei circa 15 mila cantieri aperti circa 11 mila sono stati inaugurati negli ultimi anni. Liquidati lavori per 2,6 miliardi di euro. Il merito dell’accelerazione va ascritto al commissario uscente e bisogna dargliene atto.
E i tecnici fanno cartello. Resta – davvero incomprensibile – la superfetazione del cemento armato, questo aumento del volume dei bisogni che conduce la ricostruzione nel più triste catalogo delle ricostruzioni infinite e la storia d’Italia reca segni anche recenti di questa tenace voglia di reiterare gli errori. Cartello dei tecnici Ma ad Amatrice e dintorni, detto che ci sono eccezioni e segnali di buona lena (tra tutti: Norcia e Camerino) si è consumato purtroppo anche il più grande sopruso ai danni dei giovani professionisti italiani. Il commissariato infatti per far fronte all’enorme mole di lavoro, alla necessità di progettare dimensioni enormi su territori vastissimi aveva chiesto ai tecnici di tutto il Paese di candidarsi, di impegnarsi. In ventunomila hanno detto sì. La scelta fiduciaria dei privati, titolari dei contributi, è caduta dentro il reticolo delle conoscenze o dei rimandi o delle filiere professionali. I tecnici locali hanno fatto cartello e si sono pappati tutta la torta. Diciassettemila tecnici, per lo più giovani, non hanno ricevuto nessun incarico. In 1.100 hanno lavorato a una sola pratica. In 2.700 si sono divisi invece 23 mila incarichi (media 8,6 affidamenti pro capite); in cento, solo cento, si sono divisi 5.054 incarichi, con una media di 50,3 incarichi a testa.
Per capirci: ogni incarico vale il 20% del costo del progetto. Finora in tasca ai tecnici sono andati 520 milioni di euro. E questa cifra, che già sembra mastodontica, è solo un assaggio, la decima parte di ciò che a consuntivo sarà. Cinque miliardi di euro – e sempre agli stessi – saranno spesi solo per progettare. L’Italia è un Paese per giovani, vero?