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 2023  gennaio 30 Lunedì calendario

Chi sono gli adolescenti con disforia di genere

Ho incontrato le madri di GenerAzioneD, un’associazione "quasi segreta" appena fondata da genitori di figli minori, adolescenti o giovani adulti con disforia di genere. Mi sarei immaginato le solite tristi vestali consacrate alla lotta contro la "congiura gender", mi sono trovato invece davanti persone che, alle certezze dogmatiche di ogni segno sul tema, contrappongono il bisogno di approfondire, tanto consapevoli di essere strumentalizzabili da sentirsi più libere operando in clandestinità. Comunico la mia perplessità alla richiesta di anonimato, in fondo devono solo parlarmi della loro associazione e del sito (www.generazioned.org), appena messo online, dove hanno pubblicato e tradotto articoli, storie personali e testimonianze riprese da organizzazioni straniere. Tutto a disposizione dei tanti genitori, padri e madri, che si trovano a gestire il loro stesso problema.
«È vero, ci sentiamo delle carbonare, non è però possibile fare altrimenti- mi dice una di loro - , il rapporto con i nostri figli è molto delicato, alcuni di loro hanno anche disturbi psicologici importanti e la loro privacy è fondamentale. In questo ognuno di noi ogni giorno è preso dal dilemma di quanto assecondare e di quanto coltivare il dubbio, vorremmo si capisse che avere un figlio o una figlia che desidera farsi amputare delle parti sane del proprio corpo, essere medicalizzati a vita non è certo una festa, come spesso viene fatto credere. Ci siamo costituiti in un’associazione per chiedere maggiore riflessione e attenzione su un tema così divisivo come quello della disforia di genere, sappiamo che saremo subito attaccate come transfobiche, retrograde, bigotte e quanto altro. Vogliamo solo assicurarci di aver fatto tutto ciò che è possibile per il benessere dei nostri figli».
Faccio notare alle mamme che potrebbero trovare alleati in tutta la schiera agguerrita di quelli che temono ogni uscita dal rigido perimetro del maschile e del femminile, quasi fosse un piano diabolico per annientare l’umanità. Mi rispondono che il loro movimento è assolutamente apolitico, aconfessionale e non vuole essere strumentalizzato, intanto le loro storie cominciano a intrecciarsi, si sovrappongono e lo schema è quasi sempre lo stesso.
«Con mio figlio ho sempre avuto un rapporto di fiducia - comincia a raccontare un’altra madre - da quando aveva 11/12 anni ha cominciato a dirmi che si sentiva attratto dai maschi. Non gli ho mai dato segni che questo per me potesse rappresentare un problema, verso i 15 anni l’ho accompagnato a un centro sanitario riconosciuto sulla disforia. L’hanno subito consigliato di iniziare la transizione sociale e darsi un nome di donna. Siamo andati insieme a comprare abiti femminili, reggiseni imbottiti, trucchi. Il giorno dopo si è presentato a scuola come ragazza. È cominciato un periodo di grande euforia, è aumentata la sua autostima e soprattutto la sua popolarità da parte dei compagni e professori. Poi si è iniziato anche a parlare di terapia ormonale. La neuropsichiatra che, secondo il protocollo, lo aveva preso in carico, ha cominciato a sollevare dei dubbi sulla sua reale disforia, piuttosto sospettava che il suo comportamento fosse frutto di un’ossessione. Ora che è passato del tempo sta spontaneamente regredendo nel suo proposito di transizione. Mi ha detto che fino a quando non finisce il liceo non può certo fare passi indietro, visto quanto si è esposto con i compagni. All’università ci penserà e forse tornerà a vestirsi da maschio. Cosa sarebbe successo se avesse iniziato con i farmaci? Non posso non chiedermelo».
Tutte le madri ci tengono a farmi capire che non esiste in loro nemmeno la minima volontà di reprimere la natura dei figli, né tantomeno di «normalizzarli». Obietto ancora che le stesse loro argomentazioni sono il cavallo di battaglia del pensiero più reazionario, sui temi che riguardano il genere. La differenza prova a spiegarmela un’altra madre: «Nessuna di noi ha considerato "anormale" che un proprio figlio o figlia si esprimesse in modalità differenti da quelle tipiche del suo genere di nascita; mia figlia ha 13 anni, sin da piccola ha sempre amato e praticato gli sport che per pregiudizio sarebbero solo per uomini, non le piacevano i trucchi, gli abiti "carini", le civetterie tipiche delle ragazze. Per me non è stato mai motivo di rammarico. Nel periodo della pandemia si era molto chiusa in sé stessa, passava le giornate in rete e ha cominciato a informarmi della sua disforia. Dopo un colloquio con la psicologa ha iniziato la transizione sociale, a voler essere chiamata con un nome maschile, ad appiattirsi il seno con il "binder". Prima era vista come nerd e aveva scarsi rapporti sociali, ora a scuola è al centro dell’attenzione di tutti, prende voti altissimi che prima non prendeva. A me va bene se questo le dà felicità ma ora si pone il tema dei trattamenti ormonali, degli interventi chirurgici. Vorrei che le decisioni irreversibili le prendesse in una fase di maggiore maturità e consapevolezza, ora la vedo comunque confusa. Lo so che dovrei parlare di lei al maschile ma non crediate sia facile, mi dice che si sente attratta soprattutto da maschi, ora ha un fidanzatino gay, che sta con lei in quanto la considera maschio e non femmina. Il padre e io davvero non sappiamo come mantenere il nostro ruolo di guida in una situazione che cambia di continuo. Come possiamo decidere con serenità se assecondare anche i passi successivi? In Italia non esistono nemmeno i dati di quanti minori siano in trattamento con "puberty blockers", non sappiamo su quali evidenze si fondino i protocolli che ne regolano la somministrazione».
Attorno all’attuale evolversi del concetto di binarismo pesano enormemente diverse visioni sulla contemporaneità, inconciliabili e antitetiche, dal racconto di questi genitori emerge chiaro il bisogno di una maggiore certezza su ciò che realmente possa rappresentare la scelta migliore per i propri figli. Mi dicono che come loro cominciano a essercene davvero tanti, il Covid pare abbia rappresentato per molti ragazzi uno spartiacque, mi citano solo come dato indicativo il fatto che in Italia, tra il 2018 e il 2021, il "Servizio per l’adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica" (SAIFIP) di Roma, ha registrato un aumento del 315 per cento di accessi tra gli adolescenti.
«Tutto è avvenuto all’improvviso - dice un’altra madre ancora - mia figlia non ha mai avuto sintomi di disforia nell’infanzia. Ora che è all’inizio del liceo è normale che mi ponga dei dubbi quando mi chiede se sarei disposta a firmare per iniziare il percorso di transizione farmacologica, quando già immagina di farsi prescrivere ormoni mascolinizzanti, quando mi parla della mastectomia come il massimo della gioia. Mi sento sola e il rapporto con lei è ogni giorno più difficile, perché alla fine sarei considerata una retrograda se non l’assecondo in tutto. La mia paura è che questo percorso non è reversibile, se poi crescendo si accorgesse che non era questo esattamente quello che la rende felice? Ho scoperto che esistono i "detransitioners", quelli che vorrebbero tornare indietro. Mi consuma la paura che la sua possa essere solamente un’ossessione transitoria, magari alimentata e indotta da un contagio sociale. Credo che scelte tanto radicali dovrebbero essere rimandate alla maggiore età, però non sembra possibile, tutto sembra debba essere fatto ora e in fretta".