la Repubblica, 30 gennaio 2023
Caro Bob Dylan lascia stare “Nel blu dipinto di blu”
«Volare troppo in alto è pericoloso» è l’incipit alla Catalano di Bob Dylan su Nel blu dipinto di blu, una delle 66 voci, da enciclopedia hegeliana, con le quali finalmente il Nobel della letteratura ci spiega laFilosofia della canzone moderna (Feltrinelli, 39 euro: più di un euro a canzone).
E continua Bob Dylan a raccontarci che Volare «procede a piena velocità, si schianta nel sole, rimbalza sulle stelle». Sono frasi, rotonde e ispirate, non solo su Volare, che meriterebbero, se fossero cantate, di accompagnarci mentre ci facciamo la barba o guidiamo in autostrada. Ma si può leggere in un libro di filosofia che con Volare «vedi tutto rosa, cammini nel vento e allo spazio non c’è fine»? Voglio dire che Bob Dylan è sicuramente il supercampione della canzone, che è letteratura, ma non è poesia né prosa: è canzone appunto, fatta di musica e parola e anche di voce e di corpo. E quando invece prendi in mano questo volumotto e, aggiustandoti gli occhiali, corri alla numero 153, perché Volare la conosci meglio, scopri, un po’ stordito, che «il cielo è senza fine, e il mondo intero può scomparire ma io sono perso nei miei pensieri». Ma va? E levatevi dalla testa che Dylan sia ironico. Mio figlio quando aveva 17 anni appese al muro una T-shirt nera con in bianco tre citazioni sul fare e sull’essere: «To do is to be (Nietzsche)». «To be is to do (Kant)». «Do be do be do» (Sinatra).
Eccola qui l’ironia sulla filosofia pop che invece manca a questo sciocchezzaio ex cathedra, che, credetemi, leggerlo o non leggerlo, dirne bene o dirne male non fa quasi differenza. Non arrivo tuttavia a dar ragione a Nietzsche che scrisse «tutto ciò che è troppo stupido per essere detto, può essere cantato», anche perché so bene che Dylan, come una squadra di calcio, è una claustrofilia e che i suoi studiosi, proprio come il poeta, non praticano l’etica del buonumore.
Lascio dunque agli estatici e permalosi tifosi i commentari sulla frase meno scema, «Volare è la prima canzone allucinogena», e l’esplorazione erudita di tutte le altre autorevolissime banalità sulle 66 canzoni che il Nobel ha scelto. Soprattutto lascio loro le intriganti peregrinazioni tra quelle che non ha scelto: «non c’èImagine», «niente Beatles», «ah! gli piace Perry Como», «c’è poca Europa». A una settimana da Sanremo mi fermo a Volare, di cui anche a teste meno canterine sono rimasti appiccicati tanti brandelli.
E per non fare la fine del titolato Bob Dylan mi limito a «cantare, oh oh oh oh». E intanto penso a quella frase (forse patriottica) di Paolo Conte, che ovviamente non andrà a Sanremo, ma domenica 19 febbraio si esibirà alla Scala: «Bob Dylan ha scritto cose molto importanti ma, se faccio il confronto con la canzone italiana, da un punto di vista letterario abbiamo dato molto più noi. Forse però non ci è stato riconosciuto».