il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2023
Berlusconi a Botteghe oscure
Immaginatevi il Silvio Berlusconi dei tempi d’oro, nel pieno di un successo imprenditoriale che ancora non aveva mostrato le sue crepe (già c’erano, ma saranno nascoste con la imminente “discesa in campo”). Il padrone di Canale 5 entra sorridente a Botteghe Oscure, la sede storica del Partito comunista, già diventato Pds, accompagnato da Fedele Confalonieri. In una sala del primo piano incontra Carlo Rognoni e Vincenzo Vita: si avventura in casa del “nemico” per discutere di tv.
Rognoni, per anni direttore di Panorama e dal 1992 senatore del centrosinistra, era stato allora scelto dal segretario del Pds, Achille Occhetto, come “ministro ombra” della comunicazione. Vita era il responsabile comunicazione del partito. L’incontro avviene tra il 1992 e il 1993 e a raccontarlo è Rognoni in un libro che ricorda l’avventura del settimanale Panorama. È Bruno Manfellotto, ex direttore dell’Espresso, a chiedere a Rognoni, in un capitolo del libro: “Berlusconi non lo hai mai incrociato?”. Rognoni risponde: “Da direttore no, ma da senatore appena eletto sì, a Botteghe Oscure. Aveva da poco conquistato la Mondadori e voleva l’appoggio del Pds sulla riforma dell’emittenza. Come mi vede, affabile e sorridente, fa: ‘Ah Rognoni, grazie: Panorama è una montagna d’oro…’”. Nel 1991 Silvio aveva strappato a Carlo De Benedetti la più grande casa editrice italiana, che produceva libri e molti periodici, tra cui Panorama: in seguito a una sentenza civile (sul “lodo Mondadori”) che anni dopo si scoprirà comprata da Cesare Previti con i soldi di Berlusconi. Poi un accordo tra le parti, mediato da Giuseppe Ciarrapico, aveva diviso il gruppo: la Mondadori a Berlusconi, Repubblica e L’Espresso a De Benedetti. L’incontro a Botteghe Oscure parte con un Silvio smagliante che cerca di conquistare gli interlocutori. Ma era venuto per altro: “Voleva l’appoggio del Pds sulla riforma dell’emittenza”, spiega Rognoni. È la legge Mammì, che fotografava la situazione esistente del mercato televisivo e lasciava alla Fininvest tutte le sue tre reti. Rognoni e Vita gli spiegano che “su quella legge non eravamo d’accordo”. L’atteggiamento di Berlusconi cambia immediatamente: “Cominciò a inveire, nemmeno Confalonieri riusciva a tenerlo”. Silvio urla: “Due anni fa in queste stanze ho stretto un patto con Veltroni: io avrei lasciato andare Repubblica e voi non avreste ostacolato me”.
Rognoni ribatte: “A noi non risulta nessun patto”. E conclude: “Berlusconi se ne andò sbattendo la porta”.
Walter Veltroni, sentito dal Fatto, conferma che non ci fu alcun patto. “È Berlusconi che fa Berlusconi: racconta balle. Con Carlo Rognoni, Stefano Rodotà, Franco Bassanini e tanti altri combattemmo una battaglia contro quella legge. A una riunione di pubblicitari, Berlusconi mostrò una foto mia e una di Eugenio Scalfari, indicandoci come i suoi nemici. Nel luglio 1990 arrivammo fino a provocare la crisi del governo Andreotti, quando Giulio pose la fiducia sulla Mammì e cinque ministri della sinistra democristiana si dimisero”. Erano Sergio Mattarella, Mino Martinazzoli, Riccardo Misasi, Carlo Fracanzani e Calogero Mannino. La legge fu comunque approvata con la fiducia e il voto segreto il 1º agosto 1990.
Aiutini a Berlusconi da parte del Pci-Pds comunque ne sono arrivati, prima e dopo l’episodio raccontato ora da Rognoni. Nel 1996, fu Massimo D’Alema, allora segretario del Pds, ad andare in visita alla sede di Mediaset poco prima delle elezioni, dichiarando: “Non sono qui per rendere omaggio a Berlusconi, ma a un’azienda che è un patrimonio per il Paese”. Nell’ottobre successivo, da presidente del Consiglio, ribadì: “Mediaset resta un patrimonio produttivo del Paese. Io sono tenuto a tutelare i diritti della libera impresa e a essere garante di questo impegno”.
Prima, nel 1985, il Pci fu fondamentale per la sopravvivenza della Fininvest: lo ha raccontato l’allora senatore della Sinistra indipendente, Giuseppe Fiori. Dopo il primo decreto Berlusconi, imposto da Craxi per salvare le reti Fininvest dall’oscuramento chiesto dai pretori, ne fu necessario un secondo per impedire definitivamente l’oscuramento.
Questo fu convertito in legge alla Camera il 31 gennaio 1985 (con i voti determinanti di 37 deputati del Movimento sociale italiano). Il decreto arriva poi al Senato venerdì 1° febbraio. È l’ultima spiaggia: se non viene approvato entro lunedì 4, il decreto decade e le tv di Berlusconi tornano a essere oscurate. La Sinistra indipendente tira in lungo fino alle 23.30. “Se quattro comunisti fossero intervenuti a parlare”, scrive Fiori, “sarebbe passata la mezzanotte e il decreto sarebbe decaduto”. Il capogruppo del Pci Gerardo Chiaromonte fa invece rispettare un’ipocrita disciplina di partito: votare contro, ma senza ostruzionismo, permettendo così al decreto di passare.