Il Messaggero, 29 gennaio 2023
Onorato torna al Pd
Alessandro Onorato, assessore capitolino ai grandi eventi. Ieri è intervenuto a Milano a sostegno di Stefano Bonaccini: entra nel Pd?
«Sì. Sento il dovere di partecipare a questa fase costituente e lottare affinché il Pd cambi totalmente il suo modo di fare opposizione al governo Meloni e i criteri di selezione della classe dirigente. Ma soprattutto il Pd deve sviluppare un’idea concreta del nostro Paese che il partito sembra aver perso».
Nel 2008 lei fu il più giovane degli eletti in Campidoglio del Pd, perché andò via?
«Avevo creduto e contribuito alla nascita del Pd: post ideologico e in grado di unire le grandi culture popolari, liberali e dalla sinistra italiana. Con processi chiari di selezione della classe dirigente».
E invece?
«Così non fu, Veltroni si dimise, Franceschini da reggente facilitò l’arrivo di Bersani per la riedizione dei Ds ma soprattutto le correnti strozzarono la nascita del Pd. Consideri che alla prima riunione di gruppo in Campidoglio nel 2008 eravamo 17 eletti. C’era un foglio con un elenco di tutti i consiglieri Pd e la sigla della corrente. Solo accanto al mio nome non c’era nulla. Ero troppo giovane».
Entrare quando il Pd potrebbe anche dividersi, ha senso?
«Il Pd è un patrimonio della democrazia italiana ed europea da non disperdere e all’interno c’è qualcuno che gioca al tanto peggio tanto meglio. Proprio ora serve coraggio e mi auguro che tanta gente torni a portare il suo contributo con un nuovo entusiasmo e nuove consapevolezze».
Chi gioca al tanto peggio tanto meglio?
«Quella classe dirigente che, nonostante abbia perso le ultime tre campagne elettorali, è rimasta al potere facendo i ministri e oggi alcuni di loro predicano che tutto cambi affinché nulla cambi».
Stefano Bonaccini le sembra la soluzione giusta?
«Bonaccini rappresenta la sinistra del fare. Governa in maniera egregia una regione stupenda come l’Emilia Romagna. È l’unico in grado di fare una sintesi tra le aree culturali che dovrebbero animare il Pd e sento che procederà con un vero cambiamento della classe dirigente. Con gli attuali leader, il Pd è invotabile».
Il Pd è sceso nei sondaggi ed ha ormai le stesse percentuali del M5s, perché?
«Perché non ha una guida, una visione chiara del Paese e soprattutto ha perso l’identità. Gli italiani non vogliono più parole al vento, né polemiche, ma soluzioni concrete. L’inflazione sale, i giovani vivono una totale precarietà e non hanno la possibilità di immaginare il futuro, una famiglia, i figli, una casa. Chi può lascia il Paese. Le piccole e medie imprese, gli artigiani subiscono una globalizzazione incontrollata che aumenta il divario tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, il ceto medio è scomparso, viviamo un processo d’innovazione senza precedenti dove come Paese non abbiamo un ruolo ma il problema principale per alcuni è cambiare il nome del partito. Così si merita l’estinzione».
E poi?
«Siamo europeisti convinti, si tratta della dimensione corretta per giocare una partita globale mossa da giganti ma bisogna trovare un modo per tutelare e proteggere le nostre specificità: fare chiaramente gli interessi del nostro Paese prima ancora di preoccuparci dell’Europa. Esaltare i nostri talenti, le nostre imprese, il made in Italy. Perché questi temi sono stati lasciati alle destre? Si può essere del Pd e pensare prima agli interessi del proprio Paese?»
Perché non sostiene la Schlein?
«Al netto dei diritti civili, sui quali siamo d’accordo, non mi piace la sua visione settaria totalmente distaccata dai bisogni reali del Paese. E poi non l’ho mai sentita una volta pronunciare la parola impresa, azienda. Perché? L’Italia riparte e si afferma solo attraverso un rinnovato spirito di collaborazione tra imprese e lavoratori. Come fecero la Cgil di Giuseppe Di Vittorio e Confindustria nel Dopoguerra, con il Piano del lavoro. Tuttavia credo nel contributo di tutti i candidati alle primarie e in un programma che possa valorizzare le idee condivise fra tutti».
Pd alleato con M5S o Terzo polo?
«Innanzitutto il Pd deve ritrovare la sua identità, proposte chiare e comprensibili, ritrovare la vocazione maggioritaria. Poi le alleanze si faranno sul programma».
Come valuta il governo Meloni?
«La retorica utilizzata per prendere i voti gli si ritorcerà contro. Per esempio che fine ha fatto il taglio delle accise sulla benzina che la Meloni e Salvini avevano promesso? È successo il contrario. I deputati del Pd avrebbero dovuto protestare a oltranza ma, tranne qualche rara eccezione, non è stato fatto nulla. Manca un’opposizione concreta e coerente con i bisogni del nostro sistema sociale ed economico. Molti parlamentari sono ormai più abituati ai caminetti tra le correnti che alle piazze. Ho la sensazione che abbiano paura di stare tra i cittadini».
La classe dirigente del Pd è da rottamare?
«Sono certo che Bonaccini farà come Roberto Gualtieri ha fatto a Roma, promuovendo una nuova classe dirigente ma che si è formata nei territori. Abbiamo ottimi consiglieri comunali, ottimi presidenti di municipio abituati a confrontarsi con i cittadini, a guadagnarsi il consenso. Esattamente il contrario di quei deputati e senatori abituati a teorizzare i massimi sistemi senza averne mai realizzato uno. Possiamo dire che chi ha contribuito a spegnere il sogno del Pd ora si deve mettere da parte?».
I sondaggi per le Regionali non vanno benissimo.
«Credo e lavoro nella rimonta e nella vittoria di Alessio D’Amato ma anche qui c’è qualcuno che ha lavorato dall’interno nella speranza di perdere. Spero che non avvenga anche perché con Rocca si ritorna ai tempi di Alemanno. Sarebbe un’esperienza negativa che non credo riuscirà a durare cinque anni».