il Giornale, 29 gennaio 2023
Il ballo della cotoletta
Ogni città ha il suo suono. New York: l’avanguardia rock e minimalista, i Velvet Underground e Philip Glass. Los Angeles: il pop metal di Eddie Van Halen e dei Mötley Crüe. San Francisco: le jam session psichedeliche dei Grateful Dead. Seattle: le chitarre rumorose di Jimi Hendrix e Kurt Cobain. Londra: la British invasion dei Rolling Stones. Liverpool: il Mersey Beat dei Beatles. Potremmo proseguire all’infinito. Ci fermiamo in Italia perché un libro gigantesco per formato, contenuto e procurato divertimento prova a definire il suono di Milano. Si intitola Milano Sound System. 100 anni di suoni all’ombra del Duomo, a cura di Luca Crovi e Luca Fassina (About Cities, pagg. 320, euro 48). Aperto a decine di contributi, il libro, splendidamente illustrato, va da Adriano Celentano ad Arthur Rubinstein, con tutto quello che c’è in mezzo. In oltre mezzo secolo, è cambiato tutto. L’industria musicale è morta e rinata dalle sue ceneri. Il cantautorato locale è diventato italiano e ha lasciato (in parte) il posto al rock indigeno degli anni Novanta e al rap, che attraverso le sue ramificazioni arriva fino ai giorni nostri. Un tempo c’erano Adriano Celentano, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber. Celentano si divertiva a imitare le canzoni rock, trasformando l’inglese in celentanese: non diceva nulla ma suonava bene. Avete presente Prisencolinensinainciusol, brano del 1972? Era un ritorno-omaggio alle origini. Secondo una leggenda metropolitana, Adriano aveva un paroliere, Michele Del Prete, che non scrisse una parola: era il suo portafortuna ma anche un abile procacciatore di testi suggeriti, per amicizia, da gente come Mogol. A proposito. Naturalmente anche il successo del romano Lucio Battisti inizia a Milano, quando incontra il batterista dei Quelli, Franz Di Cioccio, di origine abruzzese, che poi farà la storia della musica italiana con la Premiata Forneria Marconi, band partita dalle cotolette del Quartiere Otto (quello della Triennale) e approdata agli hot dog delle arene americane.
Chi nasce, anche solo professionalmente, a Milano, eredita il gusto della innovazione. Prendiamo Giorgio Gaber. Prima cantore della realtà milanese: il Giambellino, Porta Romana bella, i trani, cioè le piccole osterie in periferia. Poi cantautore rock’n’roll con licenza di spaziare in televisione. Infine, eccezionale interprete teatrale in una serie di spettacoli in cui si mettevano in scena e si cantavano ipocrisie, tormenti e tormentoni della borghesia milanese ma non solo. Provate ad ascoltare Far finta di essere sani (1973).
Enzo Jannacci, professione medico, fece esplodere, da subito, un talento che partiva da Milano, stazione di Rogoredo, e giungeva alla Parigi surrealista. Costantemente sottovalutato, anche a causa di un carattere votato all’understatement, ha portato gli umili nella canzone italiana, con un’umanità che finirà col rivelarsi apertamente cristiana. El purtava i scarp del tennis (1964) è una lectio magistralis su come si scrive un testo di canzone insieme locale e universale.
Ecco, abbiamo toccato uno dei temi più interessanti. Quando si pensa a Milano, si pensa a una storia culturale fortemente connotata. Milano è la città del realismo coniugato alla fede religiosa. Tutti hanno il diritto di arricchirsi. Tutti hanno il dovere di ricordarsi della comunità in cui vivono. Il sistema milanese è questo: spirito imprenditoriale e spirito religioso. La società deve puntare a espandere la dignità, il benessere e il decoro. Questa identità è fortissima e si esprime in ogni aspetto. In letteratura, Alessandro Manzoni, nei Promessi sposi, ne è stato il primo e insuperato interprete. Avvicinandoci ai nostri giorni, un altro grande scrittore con i piedi ben piantati in Milano è Giovanni Testori. Figlio di un imprenditore e cristiano imperfetto, Testori è il prodotto della temperie lombarda ma ne ha colto anche il probabile tramonto (vedi il romanzo Gli angeli dello sterminio, 1992). Se dall’iperuranio della cultura scendiamo nel cortile dell’industria, beh, noteremo subito un dettaglio rivelatore nelle ville padronali che sorgono accanto ai capannoni: l’ingresso principale, spesso, quasi sempre, non si apre sulla strada ma guarda verso la fabbrica di famiglia.
Bene, è giunto il momento di verificare a che punto siamo con la Storia: esiste ancora una milanesità siffatta? Dove cercarla? Le canzoni sono sempre un’ottima spia di quanto ci accade intorno. Jannacci è stato il Manzoni della canzone milanese. Oggi non è così semplice. Gli umili hanno le stesse aspirazioni dei borghesi e usano la stessa lingua. Lo si vede chiaramente nel rap da classifica e nei suoi derivati più moderni, come la trap. I rapper non parlano la lingua degli emarginati. Cantano con le parole dei giovani, che sono uguali dappertutto, in centro e in periferia. Gli umili, forse, sono i figli degli immigrati ma non è detto che si esprimano in italiano.
Al di là di questo problema, che andrebbe indagato, possiamo dire, seguendo le pagine di Crovi e Fassina, che Milano ha sempre saputo rinnovarsi. Il nuovo rock italiano ha avuto tre capitali: Bologna, Firenze e appunto Milano. Tolto il caso dei fiorentini Litfiba, sono stati forse i gruppi milanesi a lasciare il solco più profondo. Gli Afterhours di Manuel Agnelli si sono rivelati da esportazione e se avessero insistito... Del resto, alla base del successo dei Måneskin c’è proprio una intuizione di Agnelli stesso, oggi solista. I Ritmo tribale di Andrea Scaglia sono tornati sulle scene con un album capolavoro, La rivoluzione del giorno prima, dove Milano ha un ruolo centrale. Edda, ex voce dei Ritmo tribale, è uno dei cantautori più rispettati. I Casino Royale hanno introdotto e sviluppato i suoni dell’elettronica inglese, che oggi possiamo ascoltare ovunque.
Anche il rap, come il rock, affonda le radici nei primi anni Novanta. Milano è la mecca per gli artisti di tutta Italia. J-Ax, microfono degli Articolo 31, gruppo apripista, è milanese doc. Tra i primi a trasferirsi nel capoluogo lombardo ci fu Fabri Fibra, nato a Senigallia. Marracash, siciliano, è la voce della Barona, quartiere di Milano. I Club Dogo nascono e prosperano in città. Anche l’ondata trap ha trovato la sua sede nel capoluogo lombardo.
Ci sono poi fenomeni unici. Ad esempio, l’intrecciarsi di cabaret e canzone d’autore ha dato meravigliosi risultati con Jannacci, ancora lui, e con Cochi e Renato. Una tradizione che arriva fino a Elio e le storie tese e passa per Teo Teocoli, cantante dei Quelli prima di diventare un comico. Sarebbe l’argomento di un altro libro. Crovi e Fassina, se ci siete, battete un colpo...