Domenicale, 29 gennaio 2023
Sull’edizione integrale delle opere di Dickens
Quanto al progetto «tutto Dickens» il traduttore dissennato può confessare non solo che la responsabilità di questa idea sciagurata spetta al Sole 24 Ore, ma se messo sotto torchio fornirà anche giorno, mese, anno e persino l’ora esatta del concepimento: mercoledì 17 aprile 2018, tra le nove e le dieci del mattino. I fatti andarono più o meno così, per dirla alla Mark Twain...
Dunque, quella mattina il traduttore dissennato stava facendo una breve pausa quando, sfogliando per l’appunto il Sole 24 Ore, inizia a leggere un articolo di Luigi Sampietro, intitolato «L’eterna giovinezza di Pickwick». E in chiusura del pezzo legge questa frase: «ci si comincia a chiedere, come ha scritto Mariarosa Mancuso alcuni anni fa, come mai a nessun editore venga mai in mente di offrire al pubblico una pubblicazione in più volumi di tutte le opere di Dickens... iniziativa che nobiliterebbe l’antica corporazione degli stampatori». Non so quanti tra i lettori siano stati folgorati da grandi amori a prima vista – per quanto disperati – ma al traduttore dissennato, che sin da ragazzo ha sempre ricordato la sentenza di Leopardi, secondo la quale è «infelicissima la vita priva di casi» è spesso capitato d’esserne letteralmente travolto. E di fronte a un ordine così perentorio di Luigi Sampietro e di Mariarosa Mancuso, come non rispondere: «Uso a obbedir tacendo»?
Comunicata l’idea al suo editore (Mattioli 1885), dopo un primo momento di discernimento e di lucidità da parte sua, anche Paolo Cioni, il paron nonché il direttore editoriale, si è sentito direttamente chiamato in causa, anzi addirittura provocato, degno rappresentante com’è dell’antica corporazione degli stampatori da almeno centotrentasette anni senza soluzione di continuità (un caso alquanto insolito in Italia). Ed è così che, grazie alla dissennatezza di entrambi, il paron e il traduttore, si è subito messo in esecuzione un ambizioso programma di traduzione integrale delle opere maggiori di Dickens, con l’intenzione di farle arrivare in libreria nello stesso ordine in cui furono pubblicate in origine. Quanto a dire della necessità di una simile iniziativa, basti ricordare che ancora oggi l’edizione Einaudi di Oliver Twist è quella, peraltro, inappuntabile di Silvio Spaventa-Filippi che è pur sempre del 1919, e per giunta scritta in un forbitissimo italiano letterario e fiorito, quanto di meno dickensiano si possa immaginare.
E sì perché sin troppo spesso nelle traduzioni italiane così letterarie e forbite si fa strage, tra le altre cose, dei registri verbali di cui Dickens fa volentieri un uso spregiudicato e assai audace, come nemmeno Joyce: dalla parlata addirittura esoterica dei postiglioni londinesi delle diligenze di posta, vera aristocrazia delle genti meccaniche (Circolo Pickwick), al gergo stretto della malavita più abietta (Oliver Twist), al grumo al limite dell’indecifrabile di contrazioni fonetiche (per esempio la parlata della gente dello Yorkshire in Nicholas Nickleby), e così via.
Intento di questa iniziativa, dunque, è proprio quella di demusealizzare l’opera di Dickens, di togliere via la polvere che si è andata accumulando nei decenni sulle spalle dell’incolpevole scrittore a causa di traduzioni ingessate e accademiche, che spesso giocano a rifare il verso alla prosa pur sempre vittoriana dello scrittore. Perché troppo spesso ci si dimentica che Dickens certo non faceva il verso a sé stesso!
Ed è così che in casa Mattioli 1885, Palo Cioni e il traduttore dissennato hanno deciso di mettere in piedi come una bottega d’altri tempi, per cui, a parte il primo volume, gli altri saranno tutti curati e tradotti insieme a giovani e volenterosi anglisti, come Mattia Maglione (giovanissimo docente d’inglese alla Cabot University di Roma, per Oliver Twist), Chiara Voltini (il filo d’Arianna redazionale dell’intera iniziativa, per Nicholas Nickebly, Marta Viazzoli (con cui il traduttore ha già tradotto l’Ulisse di Joyce, per La bottega dell’antiquario), e così via.
D’altra parte, se è vero che «Dio creò il mondo per consentire a Dickens di raccontarlo», come osservò una volta Anthony Burgess, è quindi tanto più necessario – anche per «nobilitare l’antica corporazione degli stampatori», cui faceva riferimento Luigi Sampietro – che qualcuno si assuma questo compito per le nuove generazioni di lettori. Perché non amare Dickens, come ha detto Italo Calvino, è un peccato mortale: significa infatti non capire che grazie a lui, e a pochissimi altri, la grande letteratura dell’Ottocento «è riuscita a ipnotizzare il pubblico di massa e, nello stesso tempo, a raggiungere risultati artistici insuperabili mescolando l’analisi sociale, la satira e la spericolata discesa verso le tenebre della mente».
Con questa iniziativa che non ha precedenti, dunque, si seguirà passo passo nel tempo il percorso che, grazie ai suoi contratti editoriali, allontana Dickens dall’incubo dei giorni nella fabbrica di lucido da scarpe in cui un piccolo Charles, «si guadagnava da vivere col sudore della fronte», come dirà Riderhood ne Il nostro comune amico, perseguendo la propria filosofia. Dickens si considera infatti uno scrittore di professione. E il suo spirito imprenditoriale, unito a una strategia d’insieme e a un talento senza precedenti, cambieranno per sempre il mondo dell’editoria, rivoluzionando il concetto di autore e trasformando “l’inimitabile” Charles Dickens nella prima vera pop star. E creando intorno a sé una vera e propria community, come si direbbe oggi, di appassionati d’ogni classe e categoria: dagli analfabeti ai letterati, dai ladruncoli di strada alla regina d’Inghilterra... e, speriamo, alle prossime generazioni di lettori