la Repubblica, 28 gennaio 2023
Il cronoprogramma secondo Meloni
Come spesso accade, il dibattito pubblico si accende come un fiammifero su questioni marginali e invece appare vago o insoddisfacente sulle questioni di sostanza.
Per cui si discute con accanimento se sia opportuno o no far intervenire Zelensky con un video di un paio di minuti al festival di Sanremo, tra una canzonetta e l’altra. Coloro che detestano la resistenza ucraina, da Conte a Salvini, e volentieri vedrebbero i dirigenti di Kiev sconfitti e tradotti in catene a Mosca, sfogano la loro indignazione per questo invito, che naturalmente è in sé discutibile. Ma in realtà si parla di Sanremo, cioè di un episodio irrilevante nella tragedia ucraina, perché non si ha il coraggio di manifestare con chiarezza la propria adesione alla “dottrina Putin”. Non può farlo Salvini, intrappolato in una maggioranza che ha operato una scelta netta a favore dell’alleanza occidentale. E può farlo solo in parte Conte, facilitato dall’essere all’opposizione, ma abbastanza astuto da non spingersi troppo oltre. Per lui la sponda è sempre papa Francesco e allora gli argomenti sono “pacifisti”, purtroppo in spregio alla logica: dire “no” all’invio di armi agli ucraini così da aprire la strada a misteriose iniziative diplomatiche.
Schermaglie politiche alquanto ciniche che confermano un dato. Al momento il quadro politico è abbastanza stabile, tant’è che le tensioni si esprimono su aspetti secondari, tipo Sanremo, ovvero innescano frizioni volte a creare qualche disturbo, ma senza prospettive: come brevi lampi. Tipico il caso degli interventi sulla giustizia a opera di Forza Italia e Lega. Oltranzisti sulle intercettazioni e le carriere separate dei magistrati, in apparenza vogliono essere di sostegno al ministro Nordio, in pratica creano ostacoli soprattutto alla premier Meloni su una materia, come è noto, assai delicata.
Si capisce allora perché sia tornata di moda una parola che ha una certa tradizione nelle alchimie romane. Il termine è “cronoprogramma” e significa appunto fissare una scansione temporale per realizzare i punti sui quali l’esecutivo si è impegnato in Parlamento (e prima in campagna elettorale). In passato serviva a mascherare le difficoltà di un governo traballante, come i “vertici” tra i segretari della maggioranza o le “cabine di regia”: espedienti per dare un’idea di solidità quando era proprio la solidità a venir meno. Non è il caso del governo Meloni, visto che la guerriglia poco convinta da parte degli alleati non rappresenta una minaccia; e d’altra parte il vuoto dell’opposizione, tra le liturgie del Pd e il massimalismo dei 5S, sembra destinato a protrarsi ancora per molti mesi, a voler essere ottimisti.
E allora cosa rappresenta il “cronoprogramma” nella versione 2023? Non è solo un modo per supplire alla mancanza di esperienza politica di Nordio, fissando le pietre miliari del suo sentiero riformista, dal momento che il riassetto della giustizia resta una priorità dell’esecutivo. Più in generale, la presidente del Consiglio ha bisogno di allargare l’orizzonte del governo. Il vero nemico del centro-destra, come di qualsiasi altra formazione ministeriale negli ultimi vent’anni e oltre, è il “giorno per giorno”: essere schiacciati dalle infinite emergenze quotidiane che impediscono di alzare lo sguardo e lavorare su progetti dai tempi medio-lunghi. Nel recente passato ci riuscirono solo il governo Prodi-Ciampi (ingresso dell’Italia nell’euro) e in seguito Renzi, qualsiasi cosa si pensi di lui, con la fallita riforma costituzionale. Giorgia Meloni vuole sfuggire al destino della quotidianità. E quindi cerca di dare forma alla riforma della giustizia, a quella fiscale, al Pnrr rivisto, persino alla politica mediterranea. È il tentativo di riempire di contenuti lo spazio che sembra aprirsi da qui al voto europeo del 2024. Il successo non è certo garantito, ma il centro-sinistra è avvertito.