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 2023  gennaio 28 Sabato calendario

In tour con Bonaccini

«G« Guai a chi cambia nome al Pd!», urla un militante dem a Stefano Bonaccini. Siamo ad Alessandria, in piazza Lega lombarda, a suo modo un altro monito di onomastica politica, e Stefano Bonaccini risponde così: «Non ho tabù, per me si può fare tutto se si decide insieme, ma non venitemi a raccontare che la gente non ci vota più per come ci chiamiamo. Non ci vota per quello che abbiamo fatto». E se a Bonaccini si chiede cosa ha fatto il Pd per demeritare il voto, non si ferma più: «Abbiamo smesso – dice aRepubblica – di essere fisicamente tra le persone, abbiamo dirigenti nazionali che non sanno cosa significa entrare in un bar e ascoltare tutti, ci siamo dimenticati di parlare a interi pezzi di mondo del lavoro, non solo i nostri tradizionali, ma anche le partite Iva, regalate alla destra. Abbiamo parlato troppo poco di sanità pubblica, anche in campagna elettorale, nonostante sia in grande sofferenza. Dopo l’emergenza Covid persino in una Regione virtuosa come l’Emilia Romagna sono tornate ad allungarsi le liste di attesa per un esame specialistico, e in alcune regioni o ti rivolgi al privato, se hai i soldi, o non ne esci. C’è un problema drammatico di personale, i pronto soccorso sono al collasso. Lo sa che ai concorsi per infermieri ormai si presentano regolarmente meno candidati dei posti disponibili? Lavorare in trincea è diventato insostenibile se non si alzano subito gli stipendi».
La proposta del ministro Valditara di aumenti diversificati per i prof su base territoriale, a seconda del costo della vita, non convince il candidato segretario: «Un problema reale affrontato con un proposta irricevibile. Mi pare che pure Valditara abbia fatto dietrofront». Un ragionamento simile Bonaccini lo fa anche sul ministro della Giustizia Carlo Nordio: «Ha sbagliato per due ragioni. La prima è aver riaperto uno scontro tra poteri che ha già fatto grandi danni in passato. La seconda è non essere stato abbastanza chiaro sul tema delle intercettazioni. L’uso investigativo è fondamentale, non può essere messo in discussione. La pubblicazione indiscriminata di telefonate è invece inaccettabile. Bisogna distinguere bene le due questioni, lui non l’ha fatto». Bonaccini ritiene che il faro di una sinistra riformista debba essere un sincero garantismo: «La sinistra nasce così e deve tornare a esserlo. Troppe vite sono state rovinate dalla divulgazione ingiustificata di conversazioni, che può diventare anche strumento opaco di lotta politica».
Bonaccini è in tour congressuale, migliaia di chilometri macinati su e giù per il Paese, ieri in Piemonte. Oggi e domani a Milano si terràla convention di presentazione del programma con il quale spera di diventare segretario del Partito democratico dopo le primarie del 26 febbraio quando, secondo pronostico, se la vedrà con Elly Schlein (gli altri candidati sono Gianni Cuperlo e Paola De Micheli). Per lui, classe 1967, cresciuto nella filiera Pci-Pds-Ds-Pd, sarebbe come diventare allenatore della prima squadra dopo esser partito dai pulcini, parallelo che il Bonaccini calciofilo apprezza («Sono tifosissimo della Juve. La penalizzazione? Giusta se sono vere le accuse, anche se mi pare strano che sulla plusvalenze la Juve sia l’unica a pagare») e il Bonaccini ex comunista rivendica: «Sono orgoglioso della mia storia, non c’è nulla di cui pentirmi o vergognarmi. I comunisti italiani hanno sconfitto i nazifascisti, scritto la Costituzione, difeso la democrazia dal terrorismo. Poi, se c’è qualcuno chepensa di potermi definire comunista, non sarò io a impedirgli di rendersi ridicolo». Che poi i suoi avversari interni gli rimproverano l’esatto opposto. Di voler spostare a destra il Pd. Di perdere per strada l’ala filo-Conte. E lui, a queste accuse, un po’ si imbizzarrisce, per una volta perde calma e pazienza e assesta una stoccata a Schlein: «Mi fa impazzire quando sento dire che la mia vittoria non garantirebbe l’unità del partito, io che sono rimasto sempre, che ho dato una mano a tutti i leader, quando c’è chi al primo dissenso se ne è andato per tornare dopo anni». Quanto alla grana delle alleanze, la linea è questa: «Voglio tornare alla vocazione maggioritaria, che non significa un Pd autosufficiente, significa non avere alcuna intenzione di appaltare la rappresentanza della sinistra a Conte e quella dei moderati al terzo polo». Sul M5S il governatore ha una linea pragmatica: «Abbiamo vinto con loro e senza di loro». Quanto a Calenda, dice, «forse non si è reso conto che le elezioni le ha perse anche lui. Se facesse un po’ più di opposizione al governo anziché al Pd si potrebbe cominciare a mettere in piedi un’alternativa. Ci sarà un tema, anche uno solo, su cui le opposizioni possono fare fronte comune?». Nel giorno della Memoria il giro in Piemonte fa tappa alle sinagoghe di Alessandria e Torino, dove lo accoglie il capo della comunità ebraica cittadina, Dario Disegni. Al cimitero monumentale del capoluogo Bonaccini visita la tomba di Primo Levi. «Non bisogna mai dare nulla per scontato – dice – coltivare la memoria per evitare che le tragedie del passato possano ripetersi». A Torino Bonaccini si presenta anche ai cancelli della fabbrica di Mirafiori, all’uscita del primo turno. Sa che non può escludere qualche contestazione: «Bisogna saper prendere anche i fischi – spiega – e comunque sono emiliano, pochi conoscono il settore automotive come me». Lo accolgono alcuni operai, uno si incarica di fare le presentazioni: «Ecco, lei è Chiara, ha votato Pd». «Eh, detta così sembra sia un panda», risponde Bonaccini. In effetti, un po’ lo è. Non sono molti gli operai ad aver votato i dem. Qualcuno lo dimostra passando subito oltre, altri si fermano e chiedono una svolta, più attenzione. «Non sono qui per fare passerella», assicura il candidato, «tornerò, torneremo». C’è anche un ex operaio iscritto al Pd, ha portato una bandiera del partito e se la fa autografare. «Me l’hanno firmata tutti gli ex segretari, tra un po’ non c’è più posto», spiega con un filo di sarcasmo.
Bonaccini risale sul pulmino della campagna e spiega: «Voglio un partito laburista». Lo scontro sul Jobs Act? «Non basta nemmeno superare il Jobs act in sé. È stata una stagione di riforme, intervenire sull’articolo 18 è stato un errore, ma industria 4.0 ha funzionato». E quindi? «Alle imprese bisogna garantire sgravi se assumono a tempi indeterminato. Ai lavoratori dipendenti va aumentata la busta paga diminuendo il peso delle imposte, a quelli autonomi e precari bisogna dare certezze. Partiamo dalle basi: un’ora di lavoro precario deve costare più di un’ora di lavoro stabile. Raccoglieremo le firme per una legge di inziativa popolare sul salario minimo». Ma il Pd è ancora credibile o è un partito tecnicamente fallito? «Chi lo dice non sa leggere i risultati elettorali. Spesso nello stesso giorno abbiamo perso le elezioni nazionali e vinto quelle locali». E aggiunge: «Voglio un partito da combattimento, se divento segretario giuro che non accadrà mai più che i dirigenti non si candidino nei collegi uninominali».
All’auditorium dell’Arsenale della pace lo aspettano un centinaio di persone, molti cattolici: «Con il Pd abbiamo unito le nostre culture e non c’è motivo di tornare indietro», dice dal palco. Sulle forniture militari all’Ucraina i dem in aula hanno avuto defezioni. Dice Bonaccini: «Capisco i pacifisti e chi spinge per un ruolo diplomatico dell’Europa, è quello che voglio anch’io. Non è tollerabile invece che si chieda di cambiare linea per anti-americanismo, e ce n’è ancora troppo in giro». Il tour prosegue verso Novara. Bonaccini è abituato a girare: «Ho calcolato che nella mia carriera ho percorso più di 800 mila chilometri». Non riesce invece ad abituarsi alle polemiche sul look. «I risvoltini dei pantaloni? Mah, sono un tipo abituato a badare più alla sostanza che alla forma». Insomma, li terrà anche se diventa segretario.