la Repubblica, 28 gennaio 2023
L’addio alle toghe rosse
Sarebbe dunque la fine delle toghe rosse? Forse sì, forse ancora no, forse le toghe cambieranno presto i colori sociali, forse le variazioni cromatiche sono destinate a sbandare dinanzi ai tornanti della storia, forse vi scivolano sopra, forse l’espressione “toghe rosse” è il frutto della grande semplificazione di questo tempo e al tempo stesso, forse, dell’inestricabile groviglio di poteri che si combattono in un paese che da sempre considera il diritto penale uno strumento di lotta politica...
Quando le cose si fanno troppo complicate, vale la pena di aggrapparsi a fonti certe, per scoprire che nel 2008 il neologismo “toghe rosse” è entrato nel dizionario Treccani: “Membri dell’ordine giudiziario noti per la propensione nei confronti di formazioni politica della sinistra”. A frugare nella benemerita banca dati dell’Ansa se ne trova d’altra parte il primo uso nel 1989, quando il ministro Nordio era un giovane Pm di periferia e mai al mondo il neo eletto vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, allora studente universitario, avrebbe immaginato di doverle o poterle mettere in riga, queste fantomatiche toghe rosse, dopo scoperchiamento dei magheggi intercettati all’hotel Champagne.
In ogni caso terminologia nata inambienti missini, per la precisione messa in circolo da Francesco Storace, sul Secolo d’Italia,a sostegno del deputato Massimo Abbatangelo, non esattamente uno stinco di santo: «Stanno già tornando alla carica i cortigiani delle toghe rosse».
Di lì a poco la rivoluzione di Mani Pulite avrebbe riattizzato, specie fra le sue vittime, l’idea di una magistratura parziale, politicizzata e nello specifico a favore del Pci, cosa anche qui più problematica degli slogan e delle lamentazioni. Perché in Italia tutto viene e attraverso tribolati passaggi da lontano, per cui prima delle toghe rosse c’eranostati i pretori “d’assalto” (metà anni 70, scandali petroliferi e scempi ambientali) e poi, lasciato solo a combattere, anche con dolorose perdite, il terrorismo e la mafia, l’ordine giudiziario si era fatto forte di un potere “di supplenza” che in parte gli derivava dall’indebolimento del ceto politico e dalla sua crescente crisi di rappresentanza.
E tuttavia, col soccorso della memoria, già esistevano tutte le premesse dello scontro dei decenni a venire. Già settori reazionari (i progetti di revisione costituzionale della P2, per dire) puntavano all’abolizione dell’indipendenza dei Pm; giàCraxi (disturbato da scandali a ripetizione) e i democristiani (sotto accusa per il caso Cirillo, snodo di servizi, Br e camorra) erano entrati in conflitto con la magistratura; già il Cossiga picconatore l’aveva sistematicamente attaccata, pure scagliandosi contro i “giudici ragazzini” – uno dei quali era Rosario Livatino, assassinato dalla Stidda a 38 anni, la cui camicia intrisa di sangue è stata esposta la scorsa settimana nelle varie sedi istituzionali.
Eppure molto lascia pensare che anche dall’altra parte fossero maturati abusi, forzature, partigianerie, e in questo sensol’autocritica più spietata e inquietante è nella testimonianza che uno dei leader di Magistratura democratica, Francesco Misiani, che insieme con Carlo Bonini volle intitolarla, per l’appunto: “Toga rossa” (Marco Tropea, 1998).
Una volta tornato a Palazzo Chigi, non parve vero a Berlusconi di impossessarsi dell’espressione, rilanciandola a martello contro la “dittatura”, l’“eversione”, la “persecuzione” delle toghe rosse a danni suoi e di certi suoi non specchiatissimi amici. Tutto era divenuto insidiosamente mediatico, dal che, mentre i partiti seguitavano ad arruolare magistrati secondo l’andazzo delle porte girevoli, la lunga guerra civile di cui oggi s’intravede e non s’intravede il termine, comunque s’arricchì d’una cascata di titoli, comitati, manifestazioni, intercettazioni, vittimismi, sondaggi, lungometraggi, cause, processi, minacce di commissioni parlamentari, strepiti e sghignazzi da talk show.
Difficile, in tutta onestà, sintetizzarla altrimenti; ancora di più trovarle un senso compiuto e addirittura una morale. A meno di non ricorrere alla Corte di Cassazione dove, nel 2015, hanno stabilito che “toga rossa” non è un’offesa, ma a volte il riconoscimento di “una coscienza tranquillamente fiera”.
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