Corriere della Sera, 28 gennaio 2023
Intervista a Colin Farrell
Fare l’attore è il destreggiarsi su una corda tesa dalla quale è tanto facile cadere quanto è difficile rialzarsi. Ne sa qualcosa l’irlandese Colin Farrell la cui carriera, lanciata da Joel Schumacher, ha rischiato di essere irrimediabilmente rovinata da Oliver Stone, che nel 2004 lo volle protagonista del flop Alexander: «Leggevo le recensioni e mi vergognavo di me stesso». Scelte rigorose e registi intelligenti (Woody Allen, Terry Gilliam, Yorgos Lanthimos) gli hanno consentito di rialzarsi. Ora finalmente arrivano i riconoscimenti. Gli spiriti dell’Isola, in Italia dal 2 febbraio, lo vede tornare a recitare con Brendan Gleeson, diretto da Martin McDonagh come ai tempi di In Bruges – la coscienza dell’assassino. The Banshees of Inisherin, questo il titolo originale, gli ha appena fatto ottenere una nomination agli Oscar come migliore attore.
Il film in tutto ha portato a casa nove candidature di peso: miglior film, regia, attori non protagonisti, Brendan Gleeson, Barry Keoghan e Kerry Condon, musiche, sceneggiatura originale e editing, oltre a quella di Farrell. «Sono davvero grato all’Academy per tutto l’amore che ha dimostrato per questo film – ha detto l’attore – e sono onorato dall’essere accostato a tali colleghi».
Inisherin è il nome di un’isola fittizia che Martin McDonagh colloca nell’arcipelago delle Isole Aran, sulla costa occidentale dell’Irlanda. Luoghi selvaggi, popolati da pecore e personaggi poetici come i due protagonisti, Pádraic Súilleabháin (Farrell) e Colm Doherty (Gleeson). Il film mescola la commedia con il dramma e racconta di un’amicizia spezzata sullo sfondo della guerra civile irlandese. È il 1923 e Colm decide di non voler più frequentare l’amico Pádraic. Non dà spiegazioni. «È il racconto di un lutto – dice Farrell che per la parte ha già ottenuto la Coppa Volpi e un Golden Globe – un’amicizia che finisce non è diversa dalla morte di una persona cara».
Come coltiva le sue amicizie un attore sempre in giro per il mondo?
«Per quanto non mi piaccia, la tecnologia aiuta. Non amo parlare al telefono ma scrivo molto: messaggi, email. Ho ancora un paio di amici con cui ho passato l’infanzia nella stessa strada a Dublino».
Gli amici veri sono quelli dell’infanzia?
«E dell’adolescenza, fino ai quattordici anni. Sono amicizie che non necessitano di annaffiature regolari. Puoi andare, vivere la tua vita e quando ritorni sai che ci sono. Capita che viaggi, che non mi faccia sentire per un po’, ma quando riprendo il contatto è come se non fosse mai stato interrotto».
Sa di avere a che fare con un artista.
«Orson Wells raccontò una volta, in un’intervista, di aver sempre messo l’amicizia prima dell’arte: hai mai fatto lavorare un amico? Certo. È mai stata una scelta sbagliata? Sì. Lo rifaresti? Assolutamente sì!, diceva. Grandioso».
L’idea di tornare a lavorare insieme dopo «In Bruges» c’è da anni, vero?
Il cielo
Nel film interpreto
un uomo semplice:
gli basta un cielo azzurro per essere felice
«Vero, tempo fa Martin McDonagh mi mandò un copione, poi non successe nulla. Anni dopo ricevetti un’altra versione, restava in piedi solo l’idea: un amico che non vuole più l’altro. Il resto era tutto diverso. Nella prima versione c’era più azione e, confesso, il mio personaggio era più fico. L’amor proprio era ferito ma era l’idea giusta e la storia risultava più commovente».
Chi è Pádraic?
«È un uomo semplice. Gli basta un cielo azzurro, i prati verdi e le onde che si infrangono sulla spiaggia per essere felice. Non capisce le preoccupazioni delle menti più complesse. Nel film ho dovuto interpretare la perdita della sua innocenza. Scopre che l’umanità può essere crudele e che non ci deve essere una necessaria spiegazione alla crudeltà».
Si ha l’impressione che usi le sopracciglia come uno strumento di recitazione.
«Si muovevano indipendentemente dalle mie intenzioni, ma hanno aiutato, a quanto pare».
Durante la cerimonia dei Golden Globe ha ringraziato Jenny, l’asina del film.
«Era il suo primo film e la vita sul set, dove tutti corrono di qua e di là, poteva essere per lei sconvolgente. Gli animali, ancor più dei bambini, insegnano l’onestà e la pazienza».
L’isola di Inisherin è un’altra protagonista.
«Che, come sempre accade con le isole, modella i personaggi che la vivono. Qualche volta, io stesso, irlandese, scordo di essere un isolano con quel tipico carattere e uno spiccato senso di comunità, sia in positivo che in negativo. Capace di salvarti, o di farti affogare del tutto».