Corriere della Sera, 28 gennaio 2023
La Storia raccontata da Alessandro Barbero
Alessandro Barbero ha diretto la collana «La Storia. Italia, Europa, Mediterraneo» che il «Corriere della Sera» ora propone in edicola in collaborazione con Salerno editrice. Gli abbiamo rivolto qualche domanda su questa iniziativa.
Come mai si è scelto di partire dalla preistoria?
«Perché grazie al lavoro dei paleontologi e degli antropologi i primi uomini per noi non sono più esseri animaleschi e primitivi che vivevano nelle caverne e si esprimevano a grugniti: la preistoria arriva a noi con una complessità che la rende molto più vicina al concetto che va sotto il nome di storia».
L’intreccio di competenze di specialisti diversi ha cambiato anche la percezione delle epoche successive?
«È così. Un tempo storici e archeologi si guardavano in cagnesco, oggi hanno imparato a collaborare. Nei quattro volumi della sezione diretta da Stefano de Martino prendiamo in esame gli antichi imperi e i regni del Vicino Oriente, un mondo che riusciamo a conoscere proprio incrociando i dati materiali e quelli dei testi scritti; ma oggi l’archeologia aiuta a capire meglio, ad esempio, anche il Medioevo».
Il nostro mondo è ancora dominato dalla centralità dell’Europa?
«Il mondo di oggi no, ma il nostro lavoro sì: ovunque gli storici studiano innanzitutto il passato della società a cui appartengono. Se in passato la grande preoccupazione, da noi, era capire il senso della storia d’Italia, oggi la prospettiva non può non essere europea; ma appare anche evidente che non si può comprendere l’Europa senza il Mediterraneo».
Questo ha portato a sottovalutare molte culture del Mediterraneo, concetto molto chiaro in diversi volumi della collana?
«Be’, di certo la storiografia europea ha sottovalutato la complessità della storia africana, o di quella dell’America precolombiana. Certo, la civiltà europea rimane eccezionale sotto certi aspetti: penso alla massa enorme delle informazioni scritte tramandate nei secoli, e alla persistenza addirittura nei millenni dei luoghi in cui viviamo, con la loro identità e la loro memoria; ma questo ovviamente non significa che gli europei fossero superiori agli altri, come invece abbiamo creduto per tanto tempo».
Nei volumi di alcune sezioni appare evidente la convinzione che la Grecia e Roma non siano stati due mondi separati ma stretti da profonde similitudini, è così?
«Sì, il fatto che a scuola studiamo prima i Greci e poi i Romani rischia di farci pensare a due ere successive, mentre la civiltà greca è durata in parallelo con l’Impero romano e lo ha permeato profondamente. Allo stesso modo Islam e Cristianesimo, che oggi sembrano due civiltà contrapposte, condividono un terreno comune. L’Islam vuol essere la continuazione e il superamento dell’esperienza ebraica e cristiana».
Epoche
«La società medievale
era più complessa
e sofisticata di quanto oggi non si creda»
L’idea di una «polis» che sconfina e che arriva a dominare interi Paesi d’appartenenza forse è ancora viva (culturalmente) anche oggi? Pensiamo a città come Parigi, Londra, New York.
«Non solo: nel mondo d’oggi colpisce la grande differenza, almeno in certi Paesi, fra chi vive in città o in campagna. Pensi ai comportamenti elettorali: negli Stati Uniti le città, da Nord a Sud, votano in un modo e i centri più piccoli e le campagne votano in modo diametralmente opposto».
La sezione che riguarda il Medioevo dovrebbe essere un suo cavallo di battaglia...
«Ma Sandro Carocci che l’ha diretta ne sa perlomeno quanto me! Ormai da anni il Medioevo non è più visto come un’epoca barbarica. Qualche giorno fa, all’università, una studentessa mi ha detto: “Professore, sono rimasta colpita dalla quantità di leggi in vigore nel Medioevo”. Quella era una società complessa e sofisticata, cresciuta nel solco della tradizione politica e filosofica dell’antichità, e il Rinascimento, con l’invenzione della stampa e la scoperta dell’America, non è altro che il punto d’arrivo della grande crescita medievale».
La visione «occidentale» dell’Europa ha fatto sì che a lungo abbiamo trascurato quella orientale?
«Sì, e lo si vede dal fatto che ancora oggi l’opinione pubblica è pochissimo informata sulla realtà dell’Europa orientale e non ha gli strumenti per capire quello che succede laggiù: tutt’al più ci si limita a concludere che qualcuno, là, è europeo e qualcun altro no, con l’aria di attribuire una distinzione e finendo per riportare ancor sempre tutto al nostro modo di ragionare».
L’unità europea attuale però supera la tradizionale centralità dell’Occidente, almeno sul piano politico.
«Sì, ma quale sia il futuro che l’attende è difficile dirlo. Per fortuna a noi storici tocca solo cercare di capire il passato! Ogni storia che arrivi fino all’oggi, come la nostra, è sempre quella di un percorso ancora incompiuto».
Professore, un’ultima domanda: ci siamo innamorati tutti, in modo trasversale, della regina Elisabetta. Perché?
«Be’, per un sovrano durare a lungo è spesso un modo formidabile per diventare un personaggio storico!».