La Lettura, 28 gennaio 2023
A quale canone letterario dare retta?
Di canoni e controcanoni della letteratura (italiana, di altre nazioni o addirittura mondiale) se ne sono fatti parecchi, soprattutto tra Otto e Novecento, ma da qualche decennio la questione è diventata molto più complessa, e forse negli ultimi anni ha preso una direzione nuova, che vale la pena di mettere a fuoco. Tanto che si può arrivare a parlare di un «canone alternativo».
Sulla situazione in Italia, intanto, si può dire che la critica e la scuola accettano da tempo che, fra gli autori che hanno pubblicato buona parte delle loro opere maggiori nella prima metà del Ventesimo secolo, alcuni siano imprescindibili: parliamo per esempio di Luigi Pirandello e di Italo Svevo, di Giuseppe Ungaretti e di Umberto Saba, di Eugenio Montale e di Carlo Emilio Gadda. Questo super-canone dovrebbe essere senz’altro integrato, ma intanto è di sicuro molto solido. Le cose cambiano se ci si sposta verso la seconda metà del secolo scorso, perché per quel periodo ben pochi autori sarebbero indiscutibili, anche perché hanno cominciato ad avere sempre più peso le scelte dei lettori comuni oltre a quelle degli specialisti e della scuola.
Per chiarire questo aspetto, può essere utile un volume di Isotta Piazza «Canonici si diventa». Mediazione editoriale e canonizzazione nel e del Novecento (Palumbo, 2022), che non è soltanto una sintesi di numerose questioni che coinvolgono l’editoria e la critica italiane del secolo scorso. Da questo punto di vista, l’autrice, docente all’Università di Parma, riprende e sviluppa con efficacia molte considerazioni di studiosi quali Alberto Cadioli e Vittorio Spinazzola e le intreccia con quelle relative ai canoni di lunga durata (dal Trecento a tutto l’Ottocento), verificando come si sono formati e come sono stati modificati soprattutto dalle collane di classici dei grandi editori novecenteschi (Mondadori, Rizzoli, Garzanti eccetera).
Ma la parte della ricerca più interessante per le sue implicazioni è quella in cui si confrontano gli esiti della canonizzazione degli autori novecenteschi sul versante della critica e della storia letteraria, rispetto a quelle libere dei lettori, che appunto possono almeno indicare un controcanone nel quale magari hanno molto spazio autori a lungo considerati con sufficienza, per esempio Liala o Giovannino Guareschi, oppure di altri che prima conquistano un pubblico e poi la critica, come Eduardo De Filippo o Ennio Flaiano.
Forniamo, grazie al libro di Piazza, qualche dato. Se si guardano le acquisizioni di volumi da parte delle biblioteche nazionali, tramite una ricerca sul catalogo online Sbn, ci si accorge che, tra il 1900 e il 1999, Pirandello e d’Annunzio si staccano nettamente, con oltre duemila schede, seguiti da Croce, Moravia, Pascoli ma appunto pure Liala con oltre mille, poi da un gruppo più fitto oltre quota 500, che comprende romanzieri ancora letti, come Pavese o Sciascia, e altri quasi dimenticati come Bacchelli o Papini. E così via a scendere, in una serie di podi che coinvolgono autori molto rinomati e altri considerati commerciali, grandi intellettuali ora ben poco seguiti e scrittori dalle parabole assai diverse. Scontato poi sottolineare la complessiva inferiorità della presenza dei poeti che, salvo casi eccezionali, si attestano sempre a una rilevanza pari a un quarto o un quinto di quella media dei narratori coevi.
Si tratta di dati piuttosto grezzi, che andrebbero distinti meglio secondo tanti fattori (per esempio la prolificità e la durata di ciascuna produzione), ma insomma almeno un elemento risulta evidente, riguardo al secondo Novecento e l’attualità: non c’è più un solo soggetto che può canonizzare. Così, per questo periodo si è creato un po’ alla volta un «canone critico» basato su tanti elementi, la qualità letteraria ma anche l’eccezionalità delle biografie degli autori, l’impatto mass-mediatico, la novità delle storie raccontate. In questo canone possono stare gli italiani, in prima fila Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini, Primo Levi; ma ormai spesso si pensa anche agli stranieri, da Gabriel García Márquez a Philip Roth. E magari si possono individuare e condividere nomi importanti di scrittori ancora attivi, per esempio Michel Houllebecq, Margaret Atwood o (chiunque sia) Elena Ferrante.
Negli ultimi anni però le cose stanno ulteriormente cambiando e l’influenza dei social e in genere del web è diventata spesso decisiva, tanto che si può parlare appunto di un nuovo canone, molto diverso rispetto a tutti quelli precedenti. Possiamo chiamarlo il «canone alternativo» dell’era del web.
Come ci si arriva? Facciamo intanto qualche sondaggio su quello che sta succedendo. È noto che alcuni booktoker, ovvero influencer nel settore dei libri attivi sulla piattaforma TikTok, raggiungono in Italia i 200 mila follower, un numero davvero elevato in rapporto a qualunque tipo di blog o di sito letterario tradizionale. Nel concreto, i consigli sono molto spesso seguiti, e per esempio è noto che, nel 2022, il maggior successo di vendite, nell’insieme, è toccato a due libri molto consigliati dai booktoker, scritti da Erin Doom, pseudonimo di una giovane scrittrice emiliana, specialista di urban fantasy e di romance, come dimostrano Fabbricante di lacrime (2021) e Nel modo in cui cade la neve (2022), editi entrambi da Magazzini Salani. Erin Doom ha cominciato a pubblicare sulla piattaforma digitale Wattpad e si è conquistata poi decine di migliaia di lettori non solo in Rete, senza nemmeno sfruttare la presenza nei social. Il modello di Ferrante, peraltro legato a ben diversi motivi di anonimato, comunque garantisce che si tratta di una scelta che non danneggia, anzi.
Ma esaminiamo meglio il caso Erin Doom. Da un punto di vista critico-valutativo, si tratta di prodotti del tutto medi nell’ambito (peraltro molto diversificato) del fantasy , il genere ora più apprezzato nella fascia dei lettori giovani o giovanissimi, che siano della «generazione Z» (per convenzione, i nati tra il 1997 e il 2012) o un po’ precedenti, ma naturalmente seguitissimo già da coloro che hanno amato Il signore degli Anelli in tutte le sue versioni, e poi gli sviluppi in varie direzioni, magari sino a Il Trono di Spade, serie tv nata dal ciclo di romanzi Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin, edito in Italia da Mondadori.
Anche un prodotto ibrido come Harry Potter (con i suoi spin-off) è arrivato a una permanenza stabile tra quelli che potremmo chiamare i long-bestseller, ossia quelle opere che non si limitano a trionfare per un periodo (per dire: i romanzi egiziani di Christian Jacq), e riescono a diventare di culto pure per le generazioni successive a quella che li ha accolti.
Insomma, esiste da poco tempo una canonizzazione di testi in grado non solo di primeggiare per un piccolo numero di anni, bensì di essere letti devotamente per più di una generazione. Alcune di queste opere hanno sfruttato già in passato il rapporto con film magari seriali; ora prevale il collegamento con saghe o serie televisive pluriennali e di vario livello: pensiamo a quelle horror, spesso derivate da Stephen King, o a quelle distopiche.
Molte novità di successo si collocano in questo campo di forze: arieggiano a fantasy o a ibridi (un po’ horror, un po’ thriller, un po’ polizieschi, eccetera), trovano un sostegno efficace non nella critica e nemmeno nella pubblicità editoriale ma negli influencer specifici, arrivano a un successo che potrà essere molto limitato (un paio d’anni), dopodiché quasi sempre svaniscono nell’indistinto del «pubblicato» (in qualunque modo ciò avvenga) e «non più guardato». La nuova regola sembrerebbe questa: nella forma di canonizzazione tipica del sistema social-web non si può aspirare a un ruolo di lunga durata nemmeno dopo una notevole vendita, perché quel ruolo è ormai occupato non tanto dai «classici» bensì da pochi long-bestseller, archetipi fondativi o elaborazioni perfette di un genere puro o già mescidato.
Il procedimento è per certi aspetti analogo a quello che avviene nel campo dei prodotti industriali in genere, e in specie nelle aziende basate essenzialmente sull’online: la concentrazione di valore simbolico e di potere reale riguarda pochissimi brand, sebbene ne esistano altri persino migliori; alcuni fruitori esperti possono riconoscerli e impiegarli, tuttavia il loro apporto economico-sociale effettivo è assai basso. E i giovani e giovanissimi lettori seguono un comportamento simile: non a caso sono ormai davvero pochi a volersi impegnare nella conoscenza integrale dei classici tradizionali, al massimo proposti in piccole antologie a scuola. Invece sono tantissimi quelli che sono disposti a leggere le migliaia di pagine di J. R. R. Tolkien o di H. P. Lovecraft; che continuano a venerare J. K. Rowling ma amano pure Neil Gaiman; che fanno entrare nel nuovo pantheon Madeline Miller con le sue riscritture omeriche (ma non direttamente l’Iliade e l’Odissea, nonostante vari tentativi) o magari Hanya Yanagihara con il suo romanzo-fiume Una vita come tante (Sellerio, 2015), ma non i suoi antecedenti ottocenteschi come La fiera delle vanità di William Thackeray.
Insomma, sembrerebbe che non si possa affermare, banalmente, che i «nativi digitali» non sono affatto lettori, mentre invece si deve accettare che non sono propensi a leggere quanto viene proposto da voci autoritative di vecchio stampo (la scuola, la critica, persino le case editrici), seguendo un loro canone alternativo. Questo li può portare a rivalutare persino scrittori sino a pochi anni fa disprezzati (basta controllare cosa scriveva, di Lovecraft, David Punter nel suo invecchiatissimo Storia della letteratura del terrore, 1980, pubblicato in italiano nel 1985 da Editori Riuniti), oppure a implementare i settori che prediligono (fantasy, horror, comedy in varie declinazioni, eccetera) con nuove acquisizioni, meglio se legate ad autori affini, come attualmente Erin Doom.
In questo contesto si spiegano meglio le ormai numerose versioni alternative dei classici più manipolabili, compresi Dante e Shakespeare. Si dirà che situazioni simili si sono già viste, ma in effetti, all’inizio del Duemila, i canoni tradizionali sembravano essere necessari e semmai da implementare, mentre adesso paiono accantonati e comunque inattivi. Il sistema culturale tipico dell’era del web, e in particolare del secondo decennio del Ventunesimo secolo, è non solo immune da quelle che scherzosamente potremmo definire «canonizzazioni canoniche» (dovute a critica, scuola, accademia...), ma per di più, fondandosi sui long-bestseller e su altri affini, sta ridisegnando del tutto la scala dei valori.
Non è però obbligatorio che ci si debba limitare a prenderne atto. Si tratterebbe infatti di predisporre una nuova visione d’insieme su come indagare la tradizione letteraria, in base a paradigmi storico-culturali dinamici che tengano sempre conto dei valori specifici delle grandi opere, la concentrazione stilistica e, per la narrativa, la capacità di creare personaggi polivalenti.
In quest’ottica, si possono individuare alcuni autori che superano persino le barriere delle traduzioni e possono essere rivisitati nelle didattiche istituzionali ma anche nelle letture autonome: oltre agli «autentici» Omero, Dante e Shakespeare, ecco Cervantes, con Don Chisciotte, o Defoe, con Robinson Crusoe. E se Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen è già adesso commentato su TikTok, potranno arrivare le occasioni pure per altri classici che oggi sembrano improponibili: in fondo, uno scrittore apprezzato trasversalmente come Murakami Haruki è, di suo, un grande lettore di Kafka. La fase attuale, in conclusione, dovrebbe spingere, soprattutto nelle scuole, a una rilettura attiva e non solo reverenziale dei grandi scrittori, canone o no: e questo potrebbe costituire non un atto finale, bensì una buona ripartenza.