Avvenire, 27 gennaio 2023
Beve storia delle palline da tennis
Colpite, battute e poi rinchiuse in tubi di plastica o di metallo. È dura la vita delle palline da tennis. Parliamo di un oggetto simbolo di questo sport al pari della racchetta che peraltro è arrivata più tardi. Eppure mai forse come oggi continuano a far discutere. L’ultima bufera agli Australian Open in corso a Melbourne: tanti i giocatori che si sono scagliati contro le palline fornite perché secondo loro troppo soffici. In particolare rovinandosi rapidamente avrebbero causato l’allungamento di molte partite, terminate anche a notte fonda. Critiche che hanno trovato d’accordo diversi campioni: Novak Djokovic le ha bocciate come «lente e imprevedibili», per Andy Murray risultavano perfino «sgonfie». La federazione australiana di tennis ha difeso la scelta di essere passata al marchio Dunlop dopo Wilson (fino al 2019). Ma la polemica rimane e tira in ballo ovviamente fattori commerciali. Perché ogni grande torneo ha la sua pallina ufficiale, offerta gentilmente dagli sponsor, e non esiste solo una pallina omologata. Secondo Rafa Nadal le palline in Australia erano «peggio dello scorso anno». A riprova che la disputa è in continua evoluzione e accompagna da sempre lo sviluppo di questo gioco. Riavvolgere il nastro della storia ci conduce allora a rincorrere rimbalzi che finiscono addirittura nel Medioevo. Se infatti le origini sono ravvisabili già nell’antica Grecia è intorno all’anno Mille che compaiono gli “antenati” dei giocatori moderni. Molto prima di Borg e McEnroe nell’albero genealogico dei grandi tennisti ci sono i monaci delle abbazie francesi. Jean Beleth, un teologo del XII secolo, riferisce che i religiosi si lanciavano l’un l’altro una palla di stracci ( esteuf) con l’aiuto delle pareti e delle travi del chiostro. Eh già, le mura del monastero facevano parte a tutti gli effetti del gioco, un po’ come avviene oggi nello squash o nel diffusissimo padel. Di fatto queste partite d’altri tempi superarono presto le mura dei monasteri per dar vita al cosiddetto “jeu de paume” in cui a fungere da prima rudimentale racchetta era appunto il “palmo” della mano aperta. Bisognava colpire una palla realizzata in cuoio o in pelle (imbottita di lana e gesso, sabbia e segatura o terra) e indirizzarla nel campo avversario facendola passare su una rete. Come nel tennis moderno, l’obiettivo era quello di impedire all’altro giocatore di raggiungerla.
Il successo fu grande. Un mano-scritto del 1292 ( Livre de la Taille) rivela che a Parigi c’erano in quel tempo più fabbricanti di palloni (i “paumiers”), ben 13, che librai (so-lo 8). Il gioco si diffuse presto anche in Inghilterra, ma nel termine “tennis” è rimasta l’origine francese: da “Tenez!” (“Tenete la palla”) l’espressione del giocatore che annunciava il servizio al suo avversario. Da sport popolare, giocato nelle strade sfruttando tetti e tettoie delle case, finì presto anche alla corte di tutti i re di Francia. Si dice che Luigi X morì nel 1316 dopo aver giocato una partita estenuante: bevendo del vino ghiacciato si buscò una polmonite fatale. In Italia il jeu de paume era chiamato pallacorda, visto che la palla doveva superare una corda invece dell’odierna rete. E un nostro connazionale è anche l’autore del primo libro al mondo che codifica questo sport: Antonio Scaino da Salò (1524-1612) autore del Trattato del giuoco della palla pubblicato nel 1555 in volgare e dedicato al principe Alfonso d’Este, figlio del duca di Ferrara, Ercole II.
A testimonianza del fascino religioso di questo gioco, che eleva corpo e anima, Scaino era un sacerdote di osservanza agostiniana.
Nel Rinascimento la pallacorda era tenuta molto in considerazione al punto che anche nel suo Il cortegiano Baldassarre Castiglione consiglia al perfetto cortigiano di essere molto bravo nel “gioco di palla” per ingraziarsi l’ammirazione della corte. Giocatori furono pure insigni artisti da Michelangelo Buonarroti a Caravaggio a cui una partita stravolse la vita: un litigio in campo lo indusse a ferire mortalmente un suo avversario Ranuccio Tomassoni e fu costretto a lasciare per sempre Roma. Le sale da pallacorda (campi rettangolari coperti a capriate con spalti sui due lati lunghi) erano molto diffuse e il gioco si era andato via via strutturando. Già verso la fine del XV secolo, non si usava più la mano per colpire la palla. E al posto dei guanti comparve all’inizio del XIV secolo, la racchetta (dall’arabo “rahat” cioè palmo della mano) all’inizio munita di corde di canapa o di budello.
Fu una vera follia collettiva se a Parigi nel 1596 le sale per giocare erano ben 250 e l’indotto che vi lavorava contava più di 7mila persone. Ma oltre ai praticanti crebbero sempre più gli scommettitori e aumentarono le frodi nel gioco d’azzardo. E tuttavia nel 1740 si disputò il Mondiale del “jeu de paume”, il primo nella storia dello sport internazionale. Per la prima volta, un atleta, il francese Clergé de Elder, venne incoronato “campione del mondo”.
E saranno ancora le palline a determinare un secolo più tardi l’altro “boom” di questo sport. Nel 1844 è un’invenzione dello statunitense Charles Goodyear a portare alla prima pallina in gomma nel 1850. È il preludio al tennis moderno, brevettato nel 1874 dal maggiore inglese Walter Wingfield colui che portò il gioco della pallacorda all’aria aperta. Fu lui a lanciare il “lawn tennis”, il tennis da prato (praticato su campi erbosi) e a importare palline in gomma prodotte per lo più in Germania.
L’ultima rivoluzione del tennis fu il colore. Se per tutta la prima metà del Novecento si giocò con palline bianche o nere, l’avvento della Tv a colori portò nel 1972 al giallo come colore ufficiale più visibile sugli schermi.
L’Italia custodisce gelosamente le antiche “balette” in cuoio e pelle usate nella pallacorda. Ma oggi le palline sono molto cambiate e si presentano come due semi gusci riempiti di aria compressa. La tecnologia le ha rese sempre più veloci e adesso una battuta raggiunge anche i 230 km/h. L’aspettativa di vita di una pallina è però molto bassa: per effetto della “pressurizzazione” nei tornei ufficiali vengono cambiate dopo nove giochi massimo. Ma esigono rispetto. Hanno scritto la storia del tennis e sono l’anima di questo gioco.