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 2023  gennaio 27 Venerdì calendario

Intervista a Oksana Lyniv

Si fa presto a dire che Olandese volante fu il frutto di un Wagner non ancora trentenne, in cerca di sé stesso. Ma a quest’opera, dopo il debutto del 1843, continuò a dedicare quasi 40 anni della sua vita. E Oksana Lyniv, che proprio Olandese dirigerà da domani al 1° febbraio all’EuropAuditorium di Bologna come titolo inaugurale della stagione operistica del teatro Comunale (la regia è di Paul Curran), lo dimostra partitura alla mano: «Solo per questo “Ah!” esclamato da Senta, la protagonista femminile, Wagner ha operato cinque modifiche». Un oceano di segni in cui si rischia il naufragio.
Non lei, Lyniv, che dirige questo titolo a Bayreuth dal 2021, prima donna nella storia del Festival wagneriano. Ora la prima inaugurazione a Bologna da direttrice musicale. Aspettando a febbraio la sede temporanea, mentre fervono i lavori di restauro nel teatro storico del Bibiena.
«Se consideriamo il tempo passato dalla prima nota all’ultima modifica operata da Wagner, appena tre anni prima di morire, abbiamo un arco di tempo che supera quattro decenni.
Si può dire che Olandese sia stata la sua ossessione».
Uno spirito maledetto che solca imari in cerca di redenzione attraverso l’amore incondizionato di una donna, disposta al sacrificio estremo. Una mezza autobiografia.
«In questa leggenda si può vedere un pezzo di vita di Wagner. Che conobbe la forza terribile del mare e fu a un passo dal naufragio. Fosse successo, la storia dell’arte sarebbe stata un’altra».
Wagner, soprattutto nell’ Olandese, affronta il tema della fedeltà.
«Una delle sue domande ricorrenti nell’infanzia riguardava l’identità di suo padre. Quello biologico, impiegato in polizia, morì quando Richard aveva sei mesi. Il patrigno, attore, quando aveva otto anni. Il fatto che la madre si fosse innamorata di un altro uomo, per di più di un uomo di teatro – un mondo con regole tutte sue – senza dubbio incise sul suo immaginario di bambino».
La vita come opera d’arte?
«La sua creatività non gli permetteva di distinguere i piani. A costo di essere incoerente: nella prima stesura della sua autobiografia Wagner riconobbe ad Heine l’ispirazione per l’ Olandese. Dopo ilTristan und Isolde tolse quel riferimento e scrisse che fu un’idea tutta sua, come se volesse apparire il creatore della propria leggenda personale».
Non facile stare vicino all’uomo Wagner.
«Ci riuscì Cosima, figlia di Liszt,perché forse fu l’unica a capire veramente che per Wagner vita e arte non avevano soluzione di continuità».
Per studiare Olandese lei è andata a Meudon, vicino Parigi, perlustrando l’appartamento in cui fu scritta gran parte dell’opera.
«Sì, è un tipo di studio che procede in parallelo a quello sulla partitura.
Vedere i luoghi mi aiuta a capire la prospettiva del compositore. In Ucraina, dove sono nata, non esisteva una tradizione esecutiva wagneriana paragonabile a quella tedesca. Del resto Thielemann scrive di aver visto Lohengrin a 11 anni».
Però lei ne ha trascorsi cinque come assistente di Kirill Petrenko a Monaco.
«Il suo modo di preparare le opere, di incidere fino all’ultimo momento disponibile su ogni dettaglio è stato di grande ispirazione per me. A Bayreuth ho scritto indicazioni ai musicisti persino su bigliettini, lasciati su ogni leggio».
Ci svela un dettaglio del “suo”
Olandese ?
«Prendiamo proprio il suo tema, che ascoltiamo subito all’inizio dell’Ouverture: Wagner lo descrive prima come “marcato” e poi, anni dopo, come “molto marcato”. Il risultato? Ciò che prima era una fanfara è diventato un grido di dolore. Questo si capisce solo comparando le varie edizioni. Gli esempi sarebbero tantissimi».
Un altro?
«Restiamo all’alfa e all’omega dell’opera. L’attacco degli archi: prima era un tremolo, poi è diventato una scossa elettrica. E ancora: il finale, allungato per far concludere l’opera con il senso musicale della redenzione, inserendo l’arpa (che non c’era) e riprendendo il tema di Senta».
Cosa avrebbe perso la storia della musica se la nave su cui viaggiava Wagner nel Mare del Nord, prima di comporre Olandese,fosse affondata?
«Avremmo perso il compositore più coraggioso e visionario. Ma soprattutto la sua idea di teatro, dove poesia, musica, voci, luci, tutto concorre a un unico scopo: il dramma. Con Wagner finirono gli effetti vuoti, fini a sé stessi.
Quest’opera nasce sull’acqua e nell’acqua. Come saranno le pietre miliari wagneriane: laTetralogiae ilTristano».
Dirigere in tempo di guerra, mentre il suo paese è straziato da un’invasione feroce e insensata.
Cambia l’approccio alla musica?
«Si aprono luoghi interiori più profondi, che non si pensava di avere. E il contatto quotidiano con notizie di morte porta a chiederti se questa vita sia abbastanza per poter incidere sul mondo. Ma è per questo che continuo a fare musica».