Corriere della Sera, 27 gennaio 2023
Sanzioni, stretta su oro e diamanti
Non è facile strangolare finanziariamente un Paese che fino a un anno fa era il primo esportatore mondiale di gas, cereali e fertilizzanti, il secondo esportatore di petrolio e il settimo di oro e diamanti. Non è facile ed è un processo lento, ma non si ferma. Dopo nove pacchetti di sanzioni europee e migliaia di nomi aggiunti alle liste dei russi e bielorussi i cui patrimoni sono congelati, Bruxelles e soprattutto Washington stanno preparando la prossima fase: chiudere le vie dell’oro e dei diamanti, che fruttano decine di miliardi di dollari l’anno al regime di Vladimir Putin.
Si tratta di una delle aree più opache. Nel 2021 la Russia aveva esportato 302 tonnellate d’oro per un fatturato di 17,3 miliardi di dollari, secondo i dati doganali riportati dal ministero delle Finanze di Mosca. Quasi il 90% delle vendite estere erano dirette al Regno Unito, probabilmente per il ruolo del London Metal Exchange, mentre la Svizzera aveva importato 5,7 tonnellate e la Germania 3,7. Dall’estate scorsa prima Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Giappone e poi anche l’Unione europea hanno messo al bando gli acquisti di oro dalla Russia. Ma i flussi non si sono fermati. Per arrivare ai mercati mondiali nascondendo l’origine del metallo, gli esportatori vicini al Cremlino hanno iniziato a lavorare grazie a triangolazioni attraverso la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti. Ed è proprio sulle piattaforme in Turchia o a Dubai che i governi occidentali vogliono alzare la pressione nelle prossime settimane.
Più complesse, se possibile, le manovre per soffocare il commercio dei diamanti russi in Occidente, che continua a quasi un anno dall’aggressione all’Ucraina. Da dieci mesi gli Stati Uniti hanno messo sotto sanzioni Alrosa, la più grande azienda al mondo di estrazione delle pietre preziose, controllata al 33% dal governo di Mosca e responsabile di quasi un terzo dell’export mondiale. Ma altre società di diamanti russi non sono messe al bando da Washington mentre, sorprendentemente, in nove pacchetti di sanzioni l’Unione europea non ha mai sfiorato questa industria così vitale per il Cremlino. Nel 2021 dall’export di diamanti, in gran parte grezzi, la Russia ha fatturato quattro miliardi di dollari vendendoli per quasi due terzi al Belgio: da secoli Anversa è la maggiore borsa delle pietre preziose.
Ora però gli americani sembrano decisi a imporre una stretta. Anversa tratta i contratti ma molti dei diamanti grezzi russi arrivano fisicamente a Mumbai, in India, dove sono lavorati e poi riesportati spesso perdendo (legalmente) il marchio di origine. Così anche le sanzioni americane vengono aggirate. A questo punto tuttavia anche il governo belga sembra disposto ad accettare una svolta, per chiudere questo canale di denaro fresco per Putin: Alrosa è partner di Rosatom, l’azienda di Stato del nucleare (anche) militare di Mosca.
Lo strangolamento finanziario del Cremlino dunque continua. Un anno fa Putin scatenò la guerra contando su riserve sovrane per 640 miliardi di dollari e un surplus negli scambi con l’estero che probabilmente si è rivelato pari a circa 220 miliardi, grazie soprattutto all’export di petrolio e di grano. Nel 2023 i margini di manovra si stanno restringendo. Con trecento miliardi di riserve congelate e anche l’oro messo al bando, Mosca quest’anno deve avere disponibilità liquide delle riserve dell’equivalente di non oltre 100 miliardi di dollari. E con il bando e «tetto» al prezzo sul suo petrolio, sta vendendo la sua principale materia prima a circa la metà del prezzo: probabile che il surplus di Putin con l’estero quest’anno sia più che dimezzato proprio quando il dittatore ha bisogno di spendere per lo sforzo di guerra. Chiuso nel suo palazzo sulla Piazza Rossa, chissà se si accorge che il tempo non gioca più per lui.