Corriere della Sera, 27 gennaio 2023
I numeri della giustizia
Se i problemi della giustizia continuano ad essere trattati come ai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini (e dei Neri e dei Bianchi), non vi sono vie di uscita.
Vediamo quali sono i problemi, uno per uno, e quale giudizio dare sulla situazione e sulle proposte.
1) Lo stato della giustizia.
Al termine del terzo trimestre dell’anno scorso, erano pendenti complessivamente 4 milioni e 400 mila cause civili e penali. La situazione dell’arretrato è migliorata nell’ultimo decennio, ma è egualmente grave: è da maglia nera nell’area del Consiglio d’Europa, secondo i dati della Commissione europea per l’efficienza della giustizia. Perché un giudizio di primo grado, civile o penale, venga concluso è necessario, in media, un tempo tre volte superiore a quello europeo; in appello il tempo è sei volte superiore per un giudizio civile e dieci volte superiore per un giudizio penale; in Cassazione è nove volte superiore per un giudizio civile e due volte superiore per un giudizio penale. Se questi sono i dati, si può dire che la giustizia non abbia bisogno di una riforma profonda?
2) L’opera della ministra Marta Cartabia. Ha avviato e realizzato la creazione dell’ufficio per il processo, ha avviato, con due apposite deleghe, seguite dai decreti delegati, la riforma dei processi civili e penali, ha affrontato la questione della separazione delle carriere, delle porte girevoli tra politica e magistratura, dell’ordinamento giudiziario e dell’elezione del CSM. Si è discusso a lungo, animatamente e con ingiustificato allarmismo, nei giorni scorsi, della questione dell’ampliamento dei processi a querela di parte per i reati minori.
E si è rilevato che non dovevano esservi inclusi i reati contro la persona e il patrimonio, quando aggravati dal metodo mafioso (un problema, peraltro, che già si poneva per qualsiasi reato procedibile a querela da quando esiste l’aggravante mafiosa, cioè dagli anni Novanta). Il governo in carica ha preparato un correttivo, esteso a un altro problema che addirittura esiste dal 1930 e che riguarda tutti reati procedibili a querela: non si può eseguire un arresto in flagranza se è assente o irreperibile la vittima e non può quindi essere presentata una querela. Si può negare che mai era stato fatto tanto, nella direzione giusta, in così poco tempo, e che il giudizio positivo sull’intero disegno di riforma – assai esteso – non può esser diminuito dalla correzione operata, limitata ad aspetti molto circoscritti e peraltro prevista dalla stessa legge di delega, che dava al governo il potere di correggere i decreti delegati?
3) La disciplina delle intercettazioni.
I dati del Ministero della Giustizia dicono che nel 2021 sono state 95 mila, tre volte quelle che si fanno in Francia e più di trenta volte quelle che si fanno nel Regno Unito, due Paesi che hanno ora più di 8 milioni di abitanti rispetto all’Italia (ma meno infiltrazioni mafiose di quelle del nostro Paese). Il costo annuale, in Italia, è di 200 milioni, e ogni Procura faceva fino a ieri per conto suo, tanto che un decreto interministeriale del 6 ottobre dell’anno scorso ha dovuto definire in maniera uniforme prestazioni, obblighi dei fornitori, garanzie di durata, comunicazioni amministrative, procedure di fatturazione, controlli e monitoraggio.
Sulle intercettazioni la questione è se debbano essere uno strumento generale o (come oggi avviene) limitato a taluni reati particolarmente gravi; se possano essere estese a procedimenti penali o persone diverse da quelle per cui le intercettazioni sono autorizzate dal giudice; se debbano coinvolgere anche i reati connessi; se e in quali limiti debbano essere rese pubbliche. Alcuni limiti sono stati disposti due anni fa con la riforma del ministro Orlando, ma sembrano insufficienti. Lo dimostra la pubblicità data a una conversazione intercettata in Veneto qualche giorno fa, tra persone non indagate. Come si può negare che il rispetto della libertà e della vita privata delle persone richieda norme più stringenti, limitate strettamente a particolari reati, alle sole persone indagate e con rigido rispetto della riservatezza, come dispone espressamente anche la Costituzione? Tanto più che le intercettazioni non possono esser considerate mezzo esclusivo di prova e che la pubblicità che in modi diversi finiscono per avere inquina il dibattito pubblico e si presta ad usi politici di parte.
4) La giustizia nello spazio pubblico.
Rispetto all’immagine tradizionale del magistrato appartato, silenzioso, che parla con le sentenze, rispettato nella società, l’attuale immagine pubblica del magistrato (quale si evince dal comportamento di quelli più chiassosi) è molto diversa: loquace, battagliero, onnipresente, sindacalizzato, circondato da crescente sfiducia. Il pubblico ha l’impressione che la magistratura costituisca un corpo che prende parte alla politica dei partiti, quindi non imparziale: vede magistrati in servizio attivo impegnati nella preparazione delle leggi, ai vertici del corpo esecutivo della giustizia (il ministero), operanti in regioni ed enti locali con funzioni amministrative. E tutto questo mentre più di 4 milioni di controversie attendono un giudizio. Qualche volta, il magistrato-procuratore appare come un giustiziere pronto a comprimere quelle libertà di cui dovrebbe essere il difensore istituzionale. La stessa circostanza che la giustizia sia divenuta uno dei principali problemi politico-partitici segnala un’anomalia del sistema, perché dalla giustizia ci si aspetta un passo diverso rispetto a quello della politica, in quanto essa è legittimata dal diritto, non dal voto. Si ha, quindi, l’impressione che i magistrati che stanno sulla ribalta stiano facendo un danno a sé stessi, al proprio ruolo e alla categoria alla quale appartengono, perdendo autorevolezza, apparendo meno imparziali e distruggendo quell’immagine di terzietà e quel patrimonio di fiducia che la magistratura deve assolutamente conservare.
5) Che cosa è urgente fare.
Se questa è la situazione della giustizia, occorre porre rapidamente rimedio alle principali disfunzioni. L’ordine giudiziario non sarà veramente indipendente finché occuperà i vertici del ministero, perché indipendenza comporta separatezza dal potere esecutivo. In secondo luogo, una giustizia che arriva in ritardo – generando nel processo penale elevati tassi di prescrizione dei reati – è necessariamente ingiusta e quindi occorre misurare la performance e aumentare la produttività, anche attraverso la digitalizzazione su cui ha puntato la recente riforma, ciò che si può fare senza interferire con la piena indipendenza. In terzo luogo, occorre creare un archivio e un osservatorio delle migliori pratiche (che vi sono e sono facilmente identificabili), perché tutti vi si ispirino. Infine, ci si dovrebbe rendere conto che magistrati combattenti, anche negli studi televisivi e sui giornali, finiscono per essere (o per essere considerati) magistrati di parte.
La Costituzione si preoccupa di assicurare l’indipendenza dell’ordine giudiziario da invasioni esterne. È accaduto il contrario: l’affermarsi di magistrati combattenti, organizzati in associazioni che ritengono l’ordine giudiziario un corpo separato dotato di autogoverno, salvo partecipare all’attività legislativa e amministrativa, e quindi scavalcare la separazione dei poteri, ha finito per creare una politicizzazione endogena del corpo.