Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  gennaio 26 Giovedì calendario

I cinesi hanno meno credito

C’è discussione tra gli economisti e nelle multinazionali sulle prospettive dell’economia cinese, ora che Xi Jinping è stato costretto a terminare in fretta e furia la politica di Zero Covid che soffocava l’attività. Questione non insignificante anche per il resto del mondo: negli anni scorsi, la Cina è stata il motore principale della crescita mondiale. Alcuni esperti si aspettano un boom nei prossimi mesi, altri sono più scettici. Il Rhodium Group – società di consulenza newyorchese – ha di recente pubblicato un’analisi nella quale sostiene che la crescita economica del Paese «rallenterà significativamente nel prossimo decennio». La ragione sulla quale si concentra lo studio è la riduzione del credito all’economia rispetto alla «bolla senza precedenti» del passato. Tra il 2007 e il 2016, il credito è cresciuto in media del 18,1% all’anno: la previsione è che ora cresca meno del 10%, «con effetti negativi sulla crescita degli investimenti». Nello stesso periodo, il sistema bancario ha aggiunto all’economia 26.800 miliardi di dollari in asset: con il risultato però di avere contribuito a una crescita di solo 7.600 miliardi. Una delle ragioni del rallentamento del credito sta nel fatto che il sistema finanziario cinese è diventato troppo grande – 53 mila miliardi di dollari, più di metà del Prodotto lordo annuo mondiale – per potere crescere indefinitamente a due cifre. Significa che il sistema non sarà più in grado di assorbire gli choc derivati dalle perdite societarie, dai fallimenti, dalle crisi di debito. Una seconda ragione sta nel fatto che ora i cinesi si aspettano un peggioramento del mercato del lavoro e della crescita dei redditi; quindi, risparmiano ancora più di prima e vanno meno a prestito: alla fine del 2019, alla vigilia dello scoppio della pandemia da Covid-19, le famiglie inclini a risparmiare erano il 45,7% del totale, secondo il sondaggio condotto regolarmente dalla banca centrale; lo scorso dicembre la quota è arrivata al 61,8%. Banche e società finanziarie, inoltre, prestano meno, soprattutto al settore immobiliare diventato più rischioso. Infine, le imprese vanno meno a prestito perché prevedono un rallentamento dell’economia. In passato, la Cina ha riservato sorprese al rialzo per quel che riguarda la crescita: in questo 2023 potrebbe fare più fatica. È una delle grandi domande dell’anno.