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 2023  gennaio 25 Mercoledì calendario

Intervista a Gianfranco Zigoni

«Pronto, Zigoni?».
«Dimmi dai, chi sei?».
Due parole ed è già lui, Gianfranco Zigoni, il geniaccio ribelle del calcio italiano. L’avevamo lasciato capellone nell’album dei calciatori Panini degli anni Settanta. Lo ritroviamo al telefono mezzo secolo dopo, burbero e simpatico settantottenne che ci concede un incontro solo dopo una certa insistenza.
«Ma t’avverto, se vieni stai al freddo... non prima delle dieci che dormo».
Appuntamento al Bronx, così Zigoni chiama il quartiere Marconi di Oderzo esagerando un po’. Qui è nato e cresciuto e qui è tornato dopo aver girato l’Italia con le maglie di Juventus, Genoa, Roma, Brescia e, soprattutto, Verona. Capello lungo e bianco, montgomery, camicia variopinta, scarpe da ginnastica, prima di stringerti la mano Zigoni ti osserva e prende la mira: «Mah, seguimi». Ferma l’Opel Meriva duecento metri più in là, davanti a una casetta. È il circolo della Compagnia Opitergina, una stanza dove tutto parla della sua vita: sciarpe e striscioni del Verona, lui e i sette fratelli, lui e Claudio Chiappucci... la tessera di Rifondazione comunista, falci e martelli, un primo piano del Che, una foto di Padre Pio...
E la statuetta di Mussolini?
«Quella l’ha messa il presidente, lui la vede così, amen».
Zigoni cammina avanti e indietro perché fa davvero freddo, come promesso. «Non so accendere ’sto c... di caminetto... fame e domande dai». La lingua è il dialetto, fra silenzi, smorfie, mugugni. Ai tempi della serie A lui era Zigo il talento, Zigo l’anarchico, il matto, il George Best italiano, Zigo che beve e fuma, che dribbla segna e se ne va, che mette la pelliccia in panchina e rifiuta la nazionale.
«Eh – dicevano – se Zigo avesse avuto testa sarebbe stato meglio di Pelé». Pentito di qualcosa?
«Nemmeno di essermi tagliato i capelli quando sono andato alla Juve perché ero troppo giovane per dire di no ad Agnelli. Mi dà fastidio chi dice “se avesse avuto un’altra testa”. Non ha senso. Io ho questa testa e questo sono, nel bene e nel male. Magari non ho avuto molta passione ma sono stato sempre me stesso, felice di esserlo. Per me il calcio è divertimento, è il patronato dove scartavo tutti. Ero più forte di Pelé... Non ridere! Avevo 12 anni e giocavo con quelli di 16, da solo contro cinque, dieci. Me divertie. Adesso non me ne frega più niente».
Perché?
«Vedo pochi giocatori e molti calciatori, gente che calcia la palla e basta. Oggi gioca solo l’allenatore, tattica, ma che due maroni, in campo si passano la palla di piatto e spesso la danno indietro. Io giocavo con l’esterno, li prendevo tutti per il culo, altra storia. Questi se escono prendono a calci le panchine. Par mi iera el contrario».
In che senso?
«Io volevo uscire, perché magari non avevo più voglia o per far entrare un compagno che così si beccava il premio pieno, ma Valcareggi mi teneva dentro».
E l’abbandono del campo in un Verona-Vicenza?
«Mancava mezz’ora alla fine, eravamo sull’1-1, lo stadio urlava Zigo-Zigo, finta di corpo, controfinta, serpentina e bomba sul sette di destro. Di destro! Io che il destro lo uso solo per salire sul tram. Ho pensato qui c’è di mezzo Dio, per me è abbastanza, saluti».
Non segue più il calcio?
«No, solo la Juve Stabia dove gioca mio figlio, attaccante, forte».
Zigoni va a prendere qualcosa da bere, ti aspetti che torni con un vinello: succo di mela e sfogliatine.
È uno scherzo?
«Quando giocavo e non potevo, bevevo whisky e fumavo, anche 40 sigarette al giorno. E adesso che potrei non bevo e non fumo. Non m’interessa. Ogni tanto un bicchiere, quando vengono gli amici, Mauro Corona, Renato Faloppa, Renica, Briaschi, quelli di Verona che passano a trovarmi. Questo è un posto magico, il Bronx era magico, guarda quella foto: i fea la sagra, la cuccagna, bellissima, io giravo con la fionda».
Dal Bronx alla Juventus in un paio d’anni, come andò?
«Sono passato prima per il Patronato Turroni, qui dietro, dopo andiamo. Don Pietro è andato da mia madre a chiederle di farmi tentare il provino con il Pordenone, che era collegato alla Juventus. Lei l’ha avvertito: don, guarda che è matto Gianfranco. Ma la convinse e così a 14 anni feci il provino e mi presero subito. Ma non ero felice lì, quattro allenamenti a settimana, orari. L’anno dopo ero a Torino. Dura lasciare Oderzo, mia mamma, mio papà, gli amici».
Una convocazione in nazionale e il gran rifiuto per fastidio, cioè?
«Perché non mi facevano giocare e perché non avevo un grande attaccamento alla nazionale, per me il mondo è libero, cosa sono queste nazionali? Bianchi, rossi, neri, verdi, non c’è differenza».
Perché Padre Pio e il Che uno a fianco all’altro?
«Due esempi di uguaglianza e giustizia. Padre Pio ha salvato mia mamma quando era praticamente morta, il Che ha scritto i Diari della motocicletta, mitico. Io però non sono mai stato davvero comunista perché i soldi non mi hanno mai fatto schifo, anche se adesso vivo con poco».
Problemi economici?
«No, ho una pensioncina, un negozietto che do in affitto. Mi accontento, io arrivo dal Bronx, uhè. Una volta avevo la Porsche azzurra, adesso non la vorrei neanche regalata».
Che fa oggi Zigoni?
«Che domanda del c... Quien sabe, chi lo sa. Ogni giorno è diverso, amo l’ozio e adoro moglie, figli e nipoti».
Si va al campo del patronato. «Ciao Zigo». «Zigo, ricordati...». «Quando vieni, Zigo?». A Oderzo, dove si era messo ad allenare i bambini, è un mito. Esiste pure una squadra che porta il suo nome, il Zigoni Oderzo, seconda categoria, dove lui giocò la sua ultima partita a 43 anni, 4 reti.
Pelé, Mihajlovic, Vialli, anno nero.
«Con Pelé ho giocato un’amichevole Roma-Santos. Io ero convinto di essere più forte di lui, anche perché l’aveva detto Trapattoni dopo il 3-1 di Genoa-Milan, tripletta mia. Ho pensato oggi il mondo capirà che Zigo-gol è più forte di Pelé. Poi lo vedo dal vivo e mi prende un colpo: madonna che giocatore, mi è venuta la depressione...Vialli e Miha, troppo giovani».
L’addio al calcio in silenzio, come mai?
«Con il grande Gigi Simoni avevamo riportato in A il Brescia ma io avevo le scatole piene, zero stimoli. A dire la verità non li ho mai avuti. Ho fatto la valigia e sono tornato finalmente a casa senza dire niente a nessuno. Mi sto ben qua... e adesso basta che non ho più voglia, saluti».