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 2023  gennaio 25 Mercoledì calendario

I tre trumpiani che si contendono la guida dei repubblicani

Battaglia sotterranea ma durissima nella destra per la guida del Rnc, l’organizzazione del partito repubblicano che seleziona i candidati alle elezioni e distribuisce i fondi per le loro campagne. Ronna McDaniel, che presiede il Republican national committee dal dicembre 2016, si è ricandidata per un quarto mandato: quello dell’organizzazione delle presidenziali 2024. I delegati decideranno dopodomani se incoronarla di nuovo.
La sua doveva essere una corsa in discesa: scelta da Trump appena eletto presidente, Ronna gli è sempre rimasta fedele, fin dal primo giorno quando ha fatto sparire dalla sua identità il cognome di famiglia, Romney, per mantenere solo quello del marito, come usa negli Stati Uniti. Ronna, che è mormone, è, infatti, la figlia del fratello maggiore di Mitt Romney: il senatore ed ex candidato alla Casa Bianca (battuto da Obama) che è un nemico giurato di Trump.
Ma la destra più radicale, scatenata contro i conservatori moderati, accusa la McDaniel: non è abbastanza trumpiana ed è una perdente. Con lei alla guida del partito, infatti, i repubblicani sono usciti male dalle ultime tre elezioni: quelle di mid term del 2018 segnarono la resurrezione dei democratici, nel 2020 Trump fu sconfitto da Biden e due mesi fa la destra ha riconquistato solo la Camera con una maggioranza minima: l’attesa «onda rossa» (il colore del partito dei conservatori) non c’è stata.
E allora ecco Harmeet Dhillon, attivista politica e avvocata di Trump, nata in India ed emigrata negli Usa da bambina, che sfida Ronna proprio sul terreno della massima fedeltà a Trump. Battaglia in salita la sua: l’attuale presidente sembra avere più voti mentre il pedigree di trumpiana a trazione integrale di Harmeet presenta qualche falla. Lei in passato ha dato soldi per le campagne elettorali di Kamala Harris e, da avvocata, ha avuto stretti rapporti con l’Associazione per la difesa dei diritti civili, considerata di sinistra.
Ma la Dhillon tira dritto: si è già assicurata un terzo dei 168 delegati che voteranno venerdì e accusa la sua avversaria di usare la discriminazione religiosa per cercare di batterla: lei è di fede sikh.
Ma c’è anche un terzo incomodo che spera di beneficiare delle vulnerabilità delle due battistrada: Mike Lindell, il re dei cuscini My Pillow. Più che un imprenditore, un curioso imbonitore, spregiudicato nel coniugare commercio e politica, grande fan di Trump e seguace delle più spregiudicate terapie cospirative: Dominion e Smartmatic gli hanno chiesto danni miliardari per l’accusa, infondata, di aver truccato le loro macchine che contano i voti.
Nato e cresciuto nel Minnesota, Lindell dice di essere riemerso dalla doppia spirale della droga e della dipendenza dal gioco d’azzardo per merito della trasformazione in cristiano «rinato» e all’adesione alla chiesa evangelica. Poi l’idea di produrre cuscini che, dice, gli è arrivata in sogno.
Grazie a un meccanismo di sconti legati a codici promozionali offerti attraverso spot televisivi trasmessi dalla Fox, Lindell è riuscito a vendere 40 milioni di cuscini e a diventare il maggiore finanziatore (con la pubblicità) della rete televisiva trumpiana: cosa che lo ha fatto entrare nelle grazie di The Donald.
Il quale, però, stavolta non ha dato alcun endorsement. Per non fare torto a nessuno dei tre trumpiani? Come due settimane fa nella battaglia per l’elezione di Kevin McCarthy a speaker della Camera, Trump fatica a tenere a bada i suoi fan più oltranzisti. Lui punta sulla rielezione della McDaniel che gli dà più garanzie di controllo del partito (e che dovrebbe spuntarla), ma non può sconfessare i fedelissimi.