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 2023  gennaio 24 Martedì calendario

Intervista alla pianista Beatrice Rana

Beatrice Rana è la pianista italiana più autorevole, la sola - assieme a Maurizio Pollini, ma con uno stacco di due generazioni - a rappresentarci nelle sale di punta. Ha compiuto trent’anni domenica venendo alla ribalta che ne aveva 18 con la vittoria del concorso di Montreal dove si portò a casa tutto, medaglia d’oro e premi speciali. Tempo due anni e arrivava l’argento al texano Van Cliburn. Decollo assicurato.


Ieri sera (lunedì 23) ha aperto la stagione dell’Orchestra Filarmonica della Scala diretta da Lahav Shani, il 29 sarà a Roma e il 3 febbraio nel bel mezzo della sua tournée statunitense uscirà un cd con i concerti di Clara Wieck e del marito Robert Schumann, sul podio della Chamber Orchestra of Europe c’è Yannick-Nézet-Séguin, il direttore al Metropolitan di New York.


Clara Wieck è stata la concertista-fenomeno dell’Ottocento, così famosa da fare del consorte il «Signor Wieck», ruoli rovesciati in seguito poiché Schumann è eternato dalle sue composizioni mentre non v’è traccia dell’interpretazione pre-grammofono.


Perché un cd dedicato a Clara Wieck?


«Ho sempre ammirato questa donna, concertista in una fase storica in cui le donne non toccavano il palcoscenico, madre di 8 figli, moglie di un genio. Quando mi è stato chiesto di eseguire il suo Concerto ho accettato subito, scoprendo che è un vibrano notevole, anzi sono sorpresa che non sia in repertorio».


Aumentano le direttrici d’orchestra, le orchestrali, le soliste. Questo cd vuole anche essere un segnale?


«Mi piace l’idea di dare dignità alla musica bella a prescindere da chi l’abbia prodotta. Penso però che questa sia anche un’operazione culturale dovuta, vi sono compositrici che andrebbero suonate, non basta parlarne».


Il cd esce in contemporanea al film «Tar» con Cate Blanchett nei panni di una direttrice d’orchestra che abusa del proprio potere. Le direttrici americane hanno bocciato il film. Lei che dice?


«Premesso che non ho ancora visto il film, non mi piace quando si ricalcano i soliti stereotipi, in questo caso l’equazione podio-strapotere, che io non ho sperimentato ma forse sono stata solo fortunata. Si tratta di cliché che hanno preso sul pubblico. Il film Shine, dove il pianista impazzisce con Rac 3, ha influenzato molto la percezione del pianista, e mi spiace perché noi non siamo così».


Una provocazione dunque?


«Sì, tipico di questi nostri tempi in cui si gareggia a chi provoca di più. Anche le quote rosa in musica sono una provocazione perché non è pensabile giudicare il merito in base al sesso. Preferisco vederle come iperboli usate per rompere gli schemi, gli effetti sono nel lungo termine».


Quanto è faticoso essere un riferimento nazionale per il proprio mestiere?


«Sento il peso della responsabilità verso me stessa nei confronti del pubblico e di chi mi invita. Però sono soddisfatta di come si sta sviluppando la mia attività. Certo, dall’esterno si vede il 10% di tutto ciò che si muove dietro. L’altro 90% di cosa è fatto? Ore di studio, concentrazione, voli cancellati, hotel rumorosi, valigie perse. Cose che accadono ma che il pubblico non sa e non deve sapere perché la sala da concerto rimane un luogo magico, un qualcosa di diverso rispetto alla vita reale».


La fatica delle fatiche?


«Trovare il cibo, il ristorante giusto dove nutrirsi senza fare danni allo stomaco. Io mangio sempre fuori».


È cresciuta in un paesino del Leccese. Giuseppe Gibboni, il violinista vincitore del Paganini, è nato nei dintorni di Eboli. Incarnate la «questione meridionale» al rovescio.


«Il talento fiorisce ovunque ed è una buona base di partenza. Poi entrano in campo tanti altri fattori. Venire dal Sud implica avere minore accesso a tante cose, ai concerti per dire, allo stesso tempo però sono cresciuta in un luogo senza tante distrazioni e questo ha fatto sì che spostassi il focus sul mio mondo, sono sempre stata concentrata su cosa potevo trarre dal pianoforte. I social non imperavano, non c’era la frenesia del voler essere persone di successo. Non me ne è fregato mai niente del successo, io volevo solo suonare bene il pianoforte».


Il suo management ed etichetta discografica sono francesi. L’Italia non offre opportunità ai concertisti di alta gamma?


«Io sono dovuta andare in Canada per farmi conoscere...».